La prima volta che ho bevuto un vino della Riserva della Cascina è stato all’incirca un anno e mezzo fa. Ero a Roma, venivo da una deludentissima degustazione e volevo rinfrancarmi. Sono andato al Mercato Centrale, quello che c’è alle spalle della Stazione Termini, mi sono preso una vaschettina di carciofi e patate (con aglio e mentuccia) nella “bottega” di Massimo Guzzone e Feto Alisani e poi mi sono spostato lì accanto al banchetto enotecario di Luca Boccoli, chiedendo un vino bianco che riuscisse nell’impresa pressoché impossibile di ridarmi un po’ di motivazione e per di più di starci col carciofo, che i sacri testi affermano essere impossibile nell’abbinamento. Mi è stato fatto assaggiare il bianco IX Miglio, che viene da uve coltivate appena fuori Roma (ma il comune è ancora quello di Roma), nel parco dell’Appia Antica. Ne ho preso un calice e poi ho finito per berne due.
Poi, sempre lì, ho bevuto altre volte sia il IX Miglio bianco, sia il IX Miglio rosso, trovandoli sempre a me graditissimi: territoriali fino al midollo, vulcanici nella loro nota delicatamente sulfurea, esuberanti nella freschezza (che non è cosa scontata in un vino del Lazio), chiamanti a gran voce l’accompagnamento del cibo e anche, permettetemi di affermarlo, “digeribili” in toto, e per “digeribilità” in un vino intendo la capacità di metterti in sesto perfettamente lo stomaco quando ne bevo mangiando.
Insomma, mi sono progressivamente fatto convinto che “questi qui” del IX Miglio sono bravi.
Dico “questi qui” perché non avevo la minima idea di chi si trattasse. L’incontro l’ho avuto, casualmente, al Mercato dei Vini della Fivi, a Piacenza. Stavo uscendo e mentre mi avviavo ai tornelli sono incappato nello stand della Riserva della Cascina, che stava proprio all’inizio del padiglione e non avevo prima individuato. Anche perché per me loro erano non già la Riserva della Cascina, bensì “quelli del IX Miglio”. Mi sono fermato perché mi è caduto l’occhio sulle etichette, che ho felicemente riconosciuto. E dunque dovevo comprarmene qualche bottiglia, perbacco.
Ebbene, questa Riserva della Cascina, che sta nel cosiddetto agro romano, è ora guidata da una giovanissima vignaiola, Silvia Brannetti, che da qualche anno ha affiancato i genitori, che già lì avevano abbracciato da tempo la scelta bio. Silvia ha impresso nuova vitalità alla produzione, ed è quella stessa vitalità che si avverte nel sorso. Una vitalità che mi fa dire che lì, sull’Appia Antica, è nata una stella.
Non prendetela per un’esagerazione. Semmai, provatene i vini, e in particolare quel Gallieno – una Malvasia Puntinata che non avevo mai avuto l’occasione di bere prima – che mi ha impressionato per la sua gastronomicità intrisa di tensione e di frutto e di fiori e di gesso e di agrume e di fiori appassiti e di cera d’api. Stappi la bottiglia e finisce in un amen. Chissà perché, ma mi fa venire una gran voglia di provarlo con una ciriola (il panino di Roma) farcito di abbondante porchetta di Ariccia (con la cotica croccante, ovvio). Secondo me dovrebbe starci strepitosamente bene.
Lazio IX Miglio Bianco 2018 Riserva della Cascina
Malvasia puntinata, trebbiano toscano, malvasia rossa. Beva fresca e salata e speziata che richiama tavola e compagnia. Anche solo per un aperitivo “serio”. (88/100)
Lazio Malvasia Puntinata 2018 Riserva della Cascina
Qui di sopra ne ho già tessuto le lodi. Un vino che devo assolutamente procurarmi di nuovo. Vulcanico e dissentante come pochi, e per me un fuoriclasse. (92/100)
Lazio IX Miglio Rosso 2018 Riserva della Cascina
È vero che è cabernet sauvignon e merlot e sangiovese, ma non ci trovate varietalità, qui, ci trovate territorialità. Per la tavola imbandita. (86/100)
(Dimenticavo: i prezzi sono del tutto convenienti, vini popolari.)