I libri di certi autori li prenoto senza esitazione appena si diffonde la notizia di una loro nuova imminente uscita. Per esempio, in letteratura, quelli della scrittrice americana Ann Tyler o dell’islandese Auður Ava Ólafsdóttir; di entrambe, ho letto tutta la bibliografia. Invece, nel variegato universo dei testi che si occupano di alimentazione e di gastronomia, non mi lascio sfuggire gli scritti del professor Massimo Montanari, oppure di Cinzia Scaffidi, che ebbi il piacere di conoscere quando entrambi eravamo, a diverso titolo, parte attiva nel movimento di Slow Food. È ovvio che il giorno stesso nel quale ho appreso della pubblicazione di un nuovo libro di Cinzia con la prefazione di Montanari ho attivato la mia prenotazione su una piattaforma on line. Oltretutto, il testo parla di un tema che mi è assai caro, quello dell’olio extravergine di oliva. Si intitola “Il senso dell’olio“, l’editore è Espress ed è sugli scaffali dal 14 febbraio. Siccome la casa editrice me ne ha cortesemente fornito un’anteprima digitale, posso già tracciarne una recensione.
Dico subito che si tratta di un libro di cui avvertivo l’esigenza. Per spiegarne il motivo indulgo un attimo nell’autobiografico, dichiarando che il mio interesse per l’olio è dovuto a due motivi: il primo è affettivo, giacché sono nato e vivo in mezzo agli olivi del lago di Garda; il secondo è ideale, stante che “l’idea dell’olio, del pane e del vino come simboli per eccellenza della civiltà e della capacità trasformativa dell’uomo“, proprio come scrive Massimo Montanari nell’introduzione. Solo che, a differenza del cibo e del vino, l’olio stenta tuttora a trovare una forma espositiva autonoma e peculiare, soprattutto perché – a mio avviso – quasi sempre se ne affronta la narrazione utilizzando i medesimi strumenti concettuali che vengono applicati alle altre due materie, cosicché ne diviene in qualche modo un surrogato, e in quanto tale ha poca capacità d’attrazione. Eppure, prendendo spunto dal titolo di uno dei capitoli del libro, l’olio extravergine di oliva è l’espressione di “un binomio raro: è buono e ci fa bene“.
In presenza della lacuna di cui ho detto, è del tutto condivisibile che Cinzia Scaffidi, nel dare avvio al proprio percorso espositivo, abbia voluto in primo luogo interrogarsi su “quanto cammino abbiamo fatto, quante volte abbiamo sbagliato strada, quanto resta da fare”. La strada fatta dall’olio è certamente tanta, ma se la stragrande maggioranza dei consumatori lo considera tuttora nient’altro che un condimento da comprare al minor prezzo possibile, vuol dire che gli errori commessi nella sua rappresentazione sono stati ingenti. Insomma, c’è scarsa cultura dell’olio.
Ebbene, in questo nuovo libro ravvedo un contributo importante alla formazione di una più diffusa e condivisa cultura olearia, e certamente giova lo stile asciutto, documentato, multidisciplinare e disincantato che lo caratterizza. Ne derivano sottolineature molto efficaci, a cominciare da quella di tener conto della netta distinzione esistente tra chi coltiva olivi e fa olio per diletto (avendo magari qualche olivo in giardino, com’è il mio caso) e chi ne fa una professione. I primi l’oliveto lo accudiscono come e quando possono, “tanto un olivo di solito qualcosa producono sempre, anche in assenza di cura”, mentre i secondi devono far quadrare i conti dell’azienda, e non si possono permettere, per incuria, di perdere raccolto o di avere scarsa qualità, con costi che salgono vertiginosamente. La dimensione economica dell’attività olearia professionale determina delicate questioni di sostenibilità, giacché – cito – “non c’è solo da lavorare, negli oliveti professionali, c’è anche da investire in tecnologia (e dunque in formazione): la cosiddetta «agricoltura di precisione», che si basa sulla possibilità di rilevare i livelli di umidità del terreno, di benessere delle piante, di presenza di parassiti grazie a sensori o a monitoraggi satellitari, sta consentendo anche a molte aziende medio-piccole di curare i propri terreni in modo costante ed efficace, risparmiando tempo, acqua, denaro e qualche volta manodopera”. Altro che poesia.
C’è poi l’aspetto alimentare, con quel che ne consegue in termini di relazioni sociali. Si è detto che l’olio, con il vino e con il pane, è caposaldo di quella civiltà mediterranea che trova espressione anche in una specifica “dieta”, da intendere non solo come regime alimentare, ma anche come modalità di vita, tanto da costituire, oggi, “un orizzonte di riferimento – scrive Cinzia – per ragionare di agricoltura, alimentazione, società, ambiente, politiche nazionali e internazionali“. Condivido e aggiungo che non ho alcun dubbio che le decisioni agricole e quelle alimentari abbiano un forte significato “politico”. Infatti, sono convinto che, in un mondo fondato sull’economia di mercato e sulla finanza, non ci sia alcun fatto economico, nemmeno il più piccolo, che non sia politicamente rilevante. Anche la decisione di acquistare una bottiglia d’olio anziché un’altra lo è, e un libro come quello di Cinzia Scaffidi aiuta ad assumere decisioni consapevoli, poiché offre quegli elementi cognitivi – tecnici e culturali; anzi, prima culturali e poi tecnici – di cui noi consumatori abbiamo bisogno e spesso carenza, e lo fa con chiarezza e semplicità espositiva, e anche con una forma piacevolissima , che rende scorrevole e godibile la lettura, e dunque l’apprendimento.
Da ultimo, sono assai grato a Cinzia per non aver mai utilizzato, scientemente, l’orrendo e ovunque imperversante acronimo di “olio EVO”, che è inutile, snobistico e perfino dannoso, in quanto rischia di collocare l’olio extravergine d’oliva su quello stesso piano da iniziati che ha fatto male al vino, con le conseguenze che in questi giorni sono sotto agli occhi di tutti.
Cinzia Scaffidi, “Il senso dell’olio”, Espress edizioni, 15 euro


