Quando il vino è lode e preghiera

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Sono intimamente convinto che il lavoro, manuale o intellettuale che sia, costuisca una forma di preghiera, e non importa che si tratti di una preghiera religiosa, di ringraziamento e di devozione nei riguardi di una divinità, o di una preghiera laica, di riconoscimento della presenza, nelle persone, di un qualche cosa che supera la fisicità, e dunque è spiritualità. Per questo sono affascinanto dalla Regola benedettina dell’ora et labora, del pregare e del fare, che è monito di vita sia per coloro che intendono nutrirsi della fede in Dio, sia per chi alimenti, laicamente, come me, speranza nella sola umanità.

Sono vocate alla Regola di san Benedetto quelle suore dell’ordine cistercense della Stretta Osservanza – conosciuto di più come ordine trappista – che rendono vitale il monastero viterbese di Vitorchiano. Sono una settantina di donne, di tutte le età, provenienti dalle più diverse esperienze, che hanno scelto “una vita plasmata dalla fede, dalla liturgia, dal lavoro manuale”, come dice il sito internet del luogo monastico.

Me ne interesso perché le suore fanno un vino rosso, del quale ho acquistato una bottiglia in un’enoteca on line, al prezzo di poco più di 14 euro, e il vino mi è piaciuto, tant’è che lo ricomprerò. Si chiama Benedic, e chi vuole lo può perfino ascrivere al variegato mondo del “naturale“. In etichetta si legge, infatti, così: “Questo vino è stato prodotto da noi, monache trappiste, da uve rosse coltivate nei pressi del nostro monastero. Abbiamo ottenuto questo vino dopo una fermentazione spontanea di quindici giorni e senza processi di stabilizzazione forzata”. In campagna niente pesticidi, erbicidi e altri prodotti chimici di sintesi. Mi viene da dire, stante il luogo d’origine, che si tratti di una rappresentazione plastica di quell’invito – un monito – rivolto all’adozione di un’ecologia integrale da parte di papa Francesco con la sua recente enciclica Laudato si’.

L’appellativo che mi viene spontaneo per parlare del sorso è “genuino”. Sa di quei vini che nascevano per la mensa e per la condivisione, per il cibo e la fraternità. È gustoso di fruttini rossi succosi, ha la freschezza dell’arancia matura e la rusticità vagamente terrosa del sottobosco, la spezia minuta e il tannino che schiocca sul palato. Ha poco alcol (dodici e mezzo), levità antica e però una perfetta definizione. Leggo che il monastero si avvale della consulenza di Giampiero Bea, titolare della cantina Paolo Bea, votata alla biodinamica, a Montefalco. La mano di una bravo vignaiolo si sente.

Per conto mio, un buon acquisto, che consiglio, per i tanti motivi che ho detto, e anche per il vino in sé. È bello quando bere equivale a pensare.

Vino Rosso Benedic 2021 Monastero Suore Cistercensi S.O. Trappiste
(88/100)

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