Il grenache è un vitigno francese della bassa valle del Rodano, che in terra natale viene utilizzato per fare vini rossi e rosé, generalmente in assemblaggio con la syrah e il mourvèdre. Lo si coltiva anche fuori dalla Francia, e di zona in zona assume nomi diversi. Per esempio, in Italia, dov’è usualmente vinificato da solo e non in uvaggio come sul Rodano, ha le proprie aree d’elezione in Sardegna, dove lo si chiama cannonau, e sui Colli Berici, nel Vicentino, dov’è conosciuto come tocai rosso (ma in etichetta compare come tai rosso), mentre sulle sponde e sulle colline del lago Trasimeno, in Umbria, assume, per chissà quali astruse circostanze della storia, il nome fuorviante di gamay. Infatti, con l’uva del gamay, diffusa soprattutto nel Beaujolais francese, il gamay del Trasimeno non ha assolutamente nulla a che fare, e del resto che si tratti di grenache e non di gamay te ne rendi conto appena assaggi il primo sorso di un Trasimeno Gamay a denominazione di origine: non ci sono né la ciliegia croccante, né la speziatura piccante dei rossi del Beaujolais, bensì l’amarena e il carcadè che sono tipicissimi del grenache, e che per chi non fosse avvezzo a bere la tisana rosseggiante fatta coi fiori dell’ibisco posso descrivere come un insieme di profumi di arancia sanguinella matura e petali di rosa macerati. Parimenti, non c’è alcuna analogia cromatica: il rosso granato dei Trasimeno Gamay è indiscutibilmente il colore del grenache, e non già quello del gamay, che è invece un rubino-violaceo vivido e talora profondo.
Facciamo così: da adesso in avanti lo chiamo gamay del Trasimeno e voi sapete che sto parlando del grenache coltivato accanto al lago Trasimeno, anche se dovrei proprio chiamarlo solo gamay, perché, secondo il Catalogo nazionale delle varietà di vite, ossia il riferimento normativo della viticoltura italiana, gamay è il sinonimo ufficiale del grenache che va usato obbligatoriamente per i vini doc e igt non già di tutta l’Umbria, bensì della sola provincia di Perugia. Tutto questo mi pare francamente anacronistico. Forse sarebbe più logico che il vino si chiamasse Trasimeno Grenache oppure Grenache del Trasimeno, e confido che magari prima o poi vi si possa mettere rimedio.
A ogni modo, la superficie coltivata a gamay del Trasimeno è una manciata di ettari, una trentina appena per un totale di circa quarantaquattromila bottiglie, di cui meno di novemila nella versione Riserva, e io che ci tengo molto alla biodiversità viticola benedico la determinazione di quel paio di decine di aziende che continuano a coltivare quest’uva, come si fa in zona da lungo tempo, e la salvaguardano e ne proseguono la tradizione, e ci traggono il vino.
Detto questo, mi soffermo, appunto, sul vino, sul Trasimeno Gamay, perché ho avuto occasione di assaggiarne qualcuno. Confermo quel che ho detto sopra, ossia che il carattere varietale del grenache è bene espresso, il che è un buon punto di partenza. Ho riscontrato anche un’inattesa sapidità, che mi è piaciuta e che allunga il sorso. Semmai non mi ha convinto la maturità fenolica di alcuni vini, caratterizzati da tracce verdi (la foglia di vite, il vinacciolo), forse dovute – ma è solo una mia congettura – a vendemmie un po’ precoci, finalizzate a cercare di contenere il tenore alcolico esuberante cui può portare il vitigno.
Tra i vini assaggiati, ne presento tre, perché segnano, a mio avviso, tre maniere diverse di interpretare il gamay del Trasimeno.
Trasimeno Gamay Giovanotto 2023 Montemelino. Chiuso con il tappo a vite (evviva!), ha un colore sanguigno, scintillante e luminoso. Al naso ricorda il “ribollir dei tini” di carducciana memoria: ha insomma una “vinosità buona”, un’indole giovanile e una beva spensierata. La sensazione del carcadè è evidente ed emergono poi delle tracce di erbe aromatiche, che fanno un po’ Provenza. (84/100)
Trasimeno Gamay Riserva Divina Villa 2020 Duca della Corgna. Duca della Corgna è il marchio della cooperativa locale, e a questa realtà va ascritto il merito di aver “salvato” dall’oblio il gamay del Trasimeno, tra l’altro imbottigliato in più versioni. Il Divina Villa cerca la concentrazione e si caratterizza per un inconsueto sentore di bacche di corniolo, che vanno a intridere l’amarena, densa. (84/100)
Trasimeno Gamay del Trasimeno Riserva C’Osa 2022 Madrevite. Tra il rubino e il porporino brillante, questo vino sfoggia una vibrante presenza di bacche da siepe e poi di fiori macerati (petali di rosa, soprattutto), assieme a venature di buccia d’arancia essiccata. In bocca è dinamico, asprigno e succoso, e ottiene costante slancio da un sale gradevolissimo. Un rosso caratteriale e di bella beva. (90/100)