Ciascuno ha le sue ossessioni. Per esempio io, quando sono seduto in una stanza dal pavimento piastrellato, talvolta bado a come allineo le scarpe rispetto alle fughe della mattonelle o alle geometrie che vi sono disegnate. Finché non raggiungo l’allineamente che mi pare più bilanciato, confesso che non mi sento perfettamente a mio agio.
Eccolo il motivo per cui ho notato come fosse tutto lineare. Nel senso che di cantine ordinate e linde ne ho viste tante, ma stavolta era tutto meticolosamente allineato, come se a sovrintendere alle sale fossero delle inesplicate regole matematiche. Parimenti, era tutto terso, anche nella parte più vecchia, dove entra acqua dal muro vetusto addossato al terrapieno, quando piove. Giulia non m’ha nascosto un pur fugace cenno di fastidio nel passare davanti a una botte da cui era fuoriuscito un po’ di vino, lasciando una traccia arrossata sul legno.
Giulia Cavedini gestisce Corte Scaletta insieme al fratello Michele e al padre Riccardo. “Tre è il numero perfetto, soprattutto quando in cantina lavoriamo per il lungo” dice Giulia, e la parte in cui si vinifica è proprio disposta così, allungata, le vasche e i fermentini da un solo lato.
Corte Scaletta è in quella che si usa definire come la Valpolicella “allargata” e io preferisco invece dire che si tratta della Valpolicella orientale. A Marcellise, frazione di San Martino Buon Albergo, a est di Verona. Le vigne, una dozzina di ettari in tutto, sono un po’ qui, in contrada Cao di Sopra (dei fazzoletti) e un po’ dentro al parco lussureggiante di verde della Musella. Circa un terzo a testa tra corvina, corvinone e rondinella, le autoctone per eccellenza.
Il nonno aveva già cantina, vendeva in damigiana. Suo figlio subito non ne ha seguito il mestiere. Ha preferito darsi all’allevamento bovino, finché in quel mondo non ci si è più ritrovato ed è tornato alla vigna. Nel frattempo aveva comprato terra alla Musella. Prima ha conferito l’uva a una cantina sociale. Poi, nel 2011, il grande salto.
Dell’Amarone di Corte Scaletta ho già scritto. Per me rappresenta un modello di territorialità. E di “leggerezza”, se il termine mi è concesso quando si ha a che fare con l’Amarone. Vini che giocano sul filo della freschezza, della finezza. Mi piacciono molto, il motivo della visita è questo. Non è facile farli capire, però, a chi è abituato all’Amarone tutto muscolo. “Le nostre vigne sono così, qui c’è meno concentrazione” osserva papà Riccardo. Giusto.
Ho assaggiato, insieme, le tre annate ad ora in bottiglia. La terza, la 2012, è in bottiglia ma non ancora sul mercato. Mi piace che ci sia la pazienza di attendere, altro plusvalore.
Amarone della Valpolicella 2011 Corte Scaletta
La prima annata. Fruttino, rinfrescanti tracce officinali, fiori. Tannino integrato, rispettoso. “Mi piace tanto, ma per il mercato è più complicato, perché è un po’ troppo teso per quel che la gente si aspetta da un Amarone”, dice Giulia. Per me, è buonissimo. (90/100)
Amarone della Valpolicella 2012 Corte Scaletta
Una delle mie interpretazioni preferite dell’Amarone. Lo trovo equilibratissimo. Ha colore cristallino, e adoro i vini ricchi di luce nel calice. La bocca è dinamica, direi quasi elettrica. Freschezza, sapidità a ondate. Simbolo di eleganza amaronista. (92/100)
Amarone della Valpolicella 2013 Corte Scaletta
Si sta affinando nel vetro. Ancora il cristallo, lucente nella tinta chiara. L’annata fu calda, la si avverte nella maggiore ricchezza fruttata. Il tannino è ora grintosetto, serve tempo e si farà. Il sale c’è, tanto, e offre avvincente allungo al sorso succoso. (90/100)