L’illusione dell’enoturismo

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La propaganda del vino va avanti a scossoni. Periodicamente salta fuori un tema nuovo e ci si fanno annunci, convegni, comunicati stampa, i politici dichiarano che sono pronti a varare nuovi provvedimenti e a stanziare finanziamenti. Di lì a qualche mese arriva un tema nuovo e ci si precipita a fare annunci, convegni e comunicati stampa su quest’altro argomento, e i politici a inseguire con nuove promesse. Ci fu il momento del neuromarketing, poi c’è stato quello della sostenibilità, oggi c’è il ritorno di fiamma dell’enoturismo. Se ne parla in ogni dove. Solo che io non ci credo.

O meglio, all’enoturismo ci credo, ma a una condizione, che consiste nel rendersi conto che l’enoturismo è materia per le zone che non siano già di per sé turistiche. Proporre il vino all’interno di un contesto turistico è un corollario al turismo, ma non è enoturismo. L’enoturismo può esistere e fiorire là dove il vino sia il motivo stesso per cui una persona si mette in viaggio. Dove il turismo è un fenomeno di rilevante portata sociale ed economica, non può fiorire l’enoturismo, semplicemente perché chi frequenta queste località ha come motivazione prevalente dell’altro rispetto al vino. Poi, se c’è anche del buon vino e magari della buona cucina, tanto meglio, ma il motivo per cui ci si mette in viaggio non è il vino, né la buona cucina.

Faccio un esempio riferito al mio territorio, il lago di Garda, che rappresenta una delle maggiori destinazioni turistiche d’Italia ed è in continua crescita. Per chi viene sul lago di Garda, trovare del vino è un corollario rispetto – che so – alla giornata in spiaggia o alla visita a Gardaland. Non è il vino che spinge il turista a frequentare le riviere gardesane. Poi, se piove magari si sposta in cantina oppure ci si entra prima di ripartire per portarsi a casa qualche bottiglia. In entrambi i casi si tratta di un dettaglio all’interno di una vacanza originata da altri elementi di attrattività. Questo non è enoturismo. Questo è un di cui di una cosa che si chiama turismo. Per carità, è un dettaglio che può generare buoni incassi per le cantine e che rappresenta un plus per la creazione dei pacchetti turistici degli hotel o degli operatori turistici, ma non si tratta di un flusso attivato direttamente dall’attrattività del vino. Chi entra in cantina non è un enoturista, bensì un turista. Di questo occorre tener conto anche nello strutturare l’accoglienza in cantina, perché le modalità dell’offerta dovranno rispondere a un pubblico fatto di turisti per i quali il vino è un ripiego o un dettaglio. Nelle aree turistiche, il vino è un’integrazione all’interno di un contesto turistico.

L’enoturismo è quello che si fa nei territori che sono poco turistici tout court. Chi va nelle Langhe, sceglie di recarcisi per il Barolo o per il tartufo o per altre attrattività enogastronomiche. Senza offesa per i promoter locali, ma difficilmente le Langhe vengono scelte come destinazione per il paesaggio o per l’arte. Questo è enoturismo o turismo gastronomico, a seconda che prevalgano il vino o il cibo, perché il vino o il cibo o entrambi sono la vera motivazione del viaggio. Poi, se dopo essere stati al ristorante o in cantina c’è una mostra da vedere o una chiesa da visitare, tanto meglio. Di questo occorre tener conto nello strutturare l’accoglienza nelle località enoturistiche, perché ad esempio aprirci una mostra negli orari in cui la gente va al ristorante o nelle cantine non mi pare aver molto senso: molto meglio che sia aperta negli orari in cui il visitatore è libero dagli impegni enoturistici. Magari a sera tardi. Oppure gli eventi dovrebbero essere comunque correlati in qualche modo al vino. Ricordo una chiesetta fuori Arbois, nel Jura. La chiesetta era carina, ma non avevo la minima intenzione di visitarla, perché ero là per il vino. Però vidi che la parrocchia ci aveva organizzato una mostra fotografica sul vino nella Bibbia e non potei fare a meno di entrarci. Questo è un esempio intelligente di integrazione di un progetto culturale all’interno di un’offerta enoturistica. Il fatto che la parrocchia abbia pensato a una mostra di questo genere, dimostra che tutta la comunità locale, anche quella parte che non si occupa direttamente di vino, ha comunque il vino ben presente nel proprio modo di vivere e di sentire il territorio. L’enoturismo può svilupparsi solo se il vino è vissuto come il fulcro attorno al quale ruota il territorio.

Insomma, proporre il vino all’interno di un contesto turistico è un corollario al turismo, ma non è enoturismo. Perché possa esistere l’enoturismo occorre che il vino sia la motivazione prevalente del turismo, e questo può avvenire dove le altre motivazioni sono inesistenti o comunque deboli. Dove il turismo è mosso da motivi diversi dal vino, qualunque tentativo di enoturismo andrà disperso in un mare di altre offerte, quasi sempre ben più attrattive e dunque prevalenti. Se non si ha chiara questa distinzione, il rischio di fallire è consistente.