La Siora di casa Begali

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Chi ha dimestichezza con la commedia dell’arte e in particolare con le opere teatrali di Carlo Goldoni, ha sicuramente presente la definizione veneziana di paróna. La paróna è la padrona, intesa come la donna che ha il controllo della casa, e dunque la proprietaria dell’abitazione o la moglie del proprietario. Quella che comanda davvero, insomma. A Verona invece che paróna si usa dire sióra, ossia signora, da interpretare anche in questo caso nell’accezione di figura dominante all’interno della famiglia. Se nella provincia veronese andate a far visita a Lorenzo Begali, vignaiolo tra i più capaci di quella Valpolicella che si usa definire Classica, lo sentirete parlare spesso della sua sióra, ossia la moglie Adriana. Quante volte la chiama così? “Un milione di milioni di volte al giorno” mi dice ridendo la figlia Tiliana. Ne sono testimone, gliel’ho sentito dire anch’io, magari non milioni di volte, ma una decina sì.

In omaggio ad Adriana, Lorenzo ha ideato un vino che ha chiamato Siora, appunto. È un Valpolicella Classico Superiore che ha messo fine a una lacuna. Infatti, Lorenzo e i figli Tiliana e Giordano avevano da tempo un vino “intitolato” a loro tre, il Tigiolo, un Rosso Veronese “da uve autoctone e non autoctone”, come dice un po’ cripticamente il sito aziendale. La “ti” sta per Tiliana, “gio” è Giordano e “lo” è l’inizio del nome Lorenzo. Il Tigiolo l’ho sempre trovato un esperimento piuttosto interessante. Ne ho in cantina alcune annate e prima o poi mi concederò una mini verticale. Mancava un vino per la sióra Adriana, e adesso c’è.

A dire il vero, anche in questo caso il sito dell’azienda non è che sia chiarificatore riguardo all’uvaggio. Si limita a informare che è fatto “come da disciplinare del Valpolicella“, giacché le componenti “possono subire variazioni a seconda dell’annata”, come è giusto che sia. La controetichetta aggiunge poi che “le uve di questo vino possono subire un breve e a volte parziale appassimento“, il che non dirada il mistero, e in fondo a me va bene così, stante che ho sempre sostenuto che quel che mi interessa è il vino in sé, più che il modo in cui lo si fa.

Dunque, com’è questo vino? Adesso che ho bevuto il Siora del 2018 ve lo posso dire: è un rosso che ha la Valpolicella Classica nel sangue. Nel senso che quando bevo un Valpolicella della zona storica (i Begali hanno casa e cantina in via Cengia di San Pietro in Cariano, proprio sotto la collina di Castelrotto) mi aspetto queste tre cose: la ciliegia mora valpolicellese, matura e succosa, una freschezza che non si faccia domare dalla tecnica e quel pizzico di sale che rende il sorso compagno della tavola. Se poi c’è un pelino di quella rusticità che a volte chiamano “minerale” e altre volte “officinale”, ancora meglio. Il Siora queste prerogative le ha tutte, e nonostante dichiari i quattordici gradi di alcol, sta a meraviglia nel bicchiere nel corso del pasto, a prescindere perfino da quel che stai mangiando. Per me il vino dev’essere questa cosa qui.

Poi, possiamo star qui a discutere fin che vogliamo se il Valpolicella Superiore debba essere fatto con sole uve fresche o se invece sia meglio che se ne appassisca in vigna o in fruttaio qualche parte. È una questione di filosofia. A me interessa che quando me ne verso mi porti il territorio dentro al mio bicchiere, e il Siora lo fa, e lo fa bene. Mi basta e avanza, e anzi ne godo.

Valpolicella Classico Superiore Siora 2018 Begali
(90/100)

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