Se la vite si vizia non lavora, il credo di Montemaggio

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Ero a provare i vini dei Vignaioli di Radda in Chianti, qualche settimana fa. Procedevo negli assaggi, trovavo cose buone, altre buonissime, quando mi si è aperto un flash. “Accidenti, questo qui mi piace un sacco”, mi son detto, e l’ho riassaggiato e no, non mi sbagliavo, proprio un sacco. Così ho fissato un appuntamento per il giorno dopo e sono andato in cantina a fare scorta.

Per andare alla Fattoria di Montemaggio sappiate che dovete avere una macchina che non abbia problemi con lo sterrato e le buche sullo sterrato e le discese sullo sterrato. Insomma, non dico un fuoristrada, ma un’auto adatta, di strada in mezzo ai boschi ce n’è da fare un bel po’. Poi trovate il cancello e le reti alte che sembra un campo militare e invece è la barriera per gli ungulati, dato che qui se non ti chiudi i cinghiali e i caprioli ti mangiano tutta l’uva e ti sfasciano i filari.

Ad accogliermi c’è Ilaria Anichini, agronoma che si occupa anche della cantina e che è un po’ tuttofare in un’azienda al femminile, ché la proprietaria è un’altra donna, Valeria Zavadnikova, russa. Mi spiega che sono otto ettari di vigna e che il nome Montemaggio viene dall’antico Mont Major, il Monte Maggiore, luogo d’avvistamento guelfo, pare. Si dice convinta che la vite deve soffrire per poter fare il vino buono, e che se le viti si viziano non lavorano sodo, e dunque qui la vite fatica e per farla faticare ancora di più si usa fare il sovescio con un sacco di varietà diverse, che entrino in competizione, perché più le piante entrano in competizione tra di loro, più si fa qualità. Capito. Poi, fermentazioni spontanee e legni grandi. “Noi siamo in alto – mi racconta – e fa più fresco e abbiamo molto galestro per cui non estraggo tanto. C’è chi vuole tanto tannino e c’è chi no, e io appartengo alla seconda categoria, perché mi pare la più rispettosa della terra”. Gli affinamenti, quelli sono lunghi, sei anni per il Chianti Classico, otto anni per la Riserva.

Ecco, il vino che mi ha portato fin qui è stata la Riserva. A lei strapiace l’austerità della 2010, io preferisco la dinamicità della 2011, ed è questo il vino che sono venuto ad acquistare. Però è buono anche il “base” (si fa per dire) del 2012. Vabbé, ho preso tutti e tre. Tutti quanti con quel tono terroso, rugginoso, salato che mi piace trovare nei rossi di Radda, e tutti chiari nella colorazione, e mi strapiace questa cosa.

Il 2012 è poi quasi affumicato. La Riserva del 2010 s’arricchisce d’erbe officinali e di fruttino macerato e di corteccia e di foglie secche, e pare autunnale. La Riserva del 2011 aggiunge al quadro un frutto succoso che irrora il palato e poi la noce e il rabarbaro e il tamarindo ed è luminosa.

Chianti Classico 2012 Fattoria di Montemaggio
(87/100)

Chianti Classico Riserva 2010 Fattoria di Montemaggio
(89/100)

Chianti Classico Riserva 2011 Fattoria di Montemaggio
(93/100)