Ci sono, nell’immaginario mitico del bevitore di vino non convenzionale e nel suo percorso di formazione, alcune pietre miliari. Una è la lettura del libro “La rivoluzione del filo di paglia” del pionere giapponese dell’agricoltura naturale non interventista Masanobu Fukuoka, all’origine di quella che oggi chiamiano l’agricoltura sinergica. Un’altra è la convinzione, che sarebbe suffragata anche da vari studi, che per trovare l’origine del vino occorra volgere lo sguardo alla Georgia, area forse di prima estesa domesticazione della vite, e alla tradizione della vinificazione di quelle anfore interrate che là chiamano kwevri, fattrici di quei vini lungamente macerati che in giro per il mondo si definiscono orange.
Ho citato Fukuoka e la Georgia perché là, in quella per me remotissima regione caucasica, punto di contatto fra l’Europa e l’Asia, c’è un vignaiolo che ha fatto propria la lezione della permacultura e che dà pure continuità alla tradizione antichissima del vino georgiano. Si chiama Ramaz Nikoladze e ho visto che è anche il fondatore del convivio Slow Food della zona dell’Imereti, il che significa che siamo grosso modo colleghi, stante che a me capitò di fondare il convivio del Garda Veronese. La differenza è che lui sa fare il vino, mentre io mi limito a berlo, e tutt’al più ne scrivo.
Nelle anfore, Ramaz Nikoladze non fa solo vini macerati, perché nell’Imereti, stante quanto ho letto, quella della macerazione prolungata non è una pratica seguita in maniera consistente, come altrove in Georgia. Infatti, io ho bevuto un suo vino non macerato, o quanto meno oggetto di minima macerazione, e dunque appena dorato nel colore, e subito mi è parso un vino di quasi disarmente semplicità, salvo che poi non finivo più di riberne e di riberne ancora, evidentemente con soddisfazione, durante il pranzo e anche nel dopo pranzo. Insomma, l’ho trovato irresistibilmente conviviale, con quella sua sapidità innestata in un corpo ben piantato, ma non muscolare, e quella venatura di freschezza fatta apposta per insaporire un frutto che mi ha ricordato certe pere che si fanno maturare nella paglia, oppure le nespole di bosco, ma con un tratto delicatissimo. Sottesa, una tessitura di fiori essiccati di camomilla.
L’uva impiegata per produrre questo vino si chiama tsitska. Non chiedetemi di spiegare come sia questa tsitska perché non ne ho la minima idea. Invece, ho idea che mi ricomprerò il vino di Ramaz Nikoladze. Per inciso, l’ho pagato intorno ai 20 euro on line.
Nakhshirgele Tsitska, Nikoladzeebis Marani Ramaz Nikoladze
(88/100)