I giovani non bevono vino ma (forse) lo berranno

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Questa lagna che il vino sarebbe in crisi perché i giovani non vogliono berlo mi ha proprio stancato. Anch’io da giovane bevevo pochissimo vino e il motivo era lo stesso di adesso: non avevo abbastanza soldi, e quei pochi che avevo preferivo destinarli ad altre spese, che all’epoca erano soprattutto quelle dedicate alla musica, così come oggi ragazze e ragazzi spendono i loro risparmi nei telefonini.

Ne ho già scritto e ne ha parlato in maniera molto chiara anche la collega Eugenia Torelli in un articolo redatto per Linkiesta Gastronomika, nel quale spiega che i giovani che hanno messo su famiglia sono “quelli che probabilmente fanno più fatica a spendere in vino e ristoranti, presi come sono a mantenere in equilibrio le finanze, tra figli piccoli (quando ci sono), mutuo o affitto da pagare” e gli altri comunque non stanno granché meglio, coi pochi soldi che guadagnano.

Queste affermazioni – le mie, quelle di Eugenia e di qualche altro osservatore – trovano adesso una conferma indiretta in una dettagliata ricerca condotta dall’analista Bourcard Nesin per conto del gruppo bancario olandese Rabobank. La ricerca si intitola “The real reasons Generation Z is drinking less alcohol“, ossia “Le vere ragioni per le quali la generazione Z sta bevendo meno alcol”, dove per generazione Z si devono intendere i nati tra la seconda metà degli anni Novanta e la prima metà degli anni Duemiladieci. Insomma, la gran parte di quelli che chiamiamo “i giovani”. È vero che l’analisi si concentra sulla generazione Z degli Stati Uniti e sui consumi alcolici in generale, ma penso che, con le dovute cautele statistiche, i risultati si possano traslare anche all’Europa. Il report completo ve la lascio leggere: basta che clicchiate il titolo in inglese qui di sopra e finite direttamente sulla pagina di Rabobank. Però voglio riprendere la sintesi in tre punti che Nesin ha pubblicato sul proprio profilo LinkedIn.

In primo luogo, dice, il motivo principale per cui la generazione Z spende meno soldi in alcolici rispetto alle altre generazioni è che “non hanno soldi… per ora“. “La generazione Z, come tutti i giovani delle generazioni precedenti – afferma -, è al verde. Invecchiando, conseguiranno lauree, titoli di studio avanzati e lavori meglio retribuiti. Questo aumento di reddito aumenterà automaticamente la loro spesa in alcolici“.

La domanda è se i giovani, una volta che, avanzando in età, disporranno – si spera – di più denaro, compreranno davvero il vino e gli altri alcolici. Ovviamente è difficile dirlo, ma i dati storici sembrerebbero spingere verso il sì. “Negli ultimi 40 anni – sostiene Nesin, sulla scorta dei dati raccolti -, i consumatori hanno iniziato a bere sempre più tardi… e per decenni, una volta raggiunti i 35 anni, hanno bevuto tanto quanto i loro predecessori. In altre parole, la Generazione Z alla fine raggiungerà, o quasi, i livelli di consumo storici“. Penso anch’io che sia probabile, anche se ritengo che comunque ci sia una quota maggiore di popolazione sensibile ai rischi del consumo alcolico, e che dunque le dinamiche di avvicinamento all’alcol saranno, in futuro, un po’ diverse.

Fin qui le notizie positive per chi produce e vende alcolici, vino incluso. Ma la terza osservazione può smorzare gli entusiasmi, anche se è legata più strettamente al contesto statunitense, il quale è comunque vitale, per il comparto dei vini e degli spirits. Riguarda la composizione demografica della popolazione americana. In America, storicamente il consumo di alcolici è stato ed è concentrato tra i maschi bianchi, ma la struttura interna della generazione Z è molto diversa da quella delle generazioni precedenti. La quota dei bianchi non ispanici è scesa al cinquanta per cento del totale, e inoltre è probabile che le donne della generazione Z abbiano superato gli uomini in termini di consumo di alcolici. Questo vuol dire che se col passare degli anni le tendenze si riassestassero su quelle storiche, ossia con una prevalenza di consumi tra i maschi bianchi non ispanici, il numero dei bevitori si ridurrebbe automaticamente. So bene che, di fronte a quest’ultima evidenza, ci sarà chi dice che allora è indispensabile passare in fretta a produrre i vini dealcolati, ma ho già scritto di non essere così convinto che chi non beve “vino” beva una cosa che si chiama comunque “vino”, anche se ammetto che mi posso sbagliare.