Forse è meglio pensare di cambiare la macchina

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Nei dodici mesi compresi tra la fine di febbraio 2022 e la fine di febbraio 2023, quasi 22 milioni di famiglie francesi hanno acquistato almeno una volta del vino fermo in grande distribuzione. Lo dice un ricerca NielsenIQ, di cui leggo su Vitisphere. La notizia sulla numerosità delle famiglie transalpine che comprano il vino suglia scaffali dei supermercati mi interessa abbastanza poco. Sono molto più interessato a sapere quali vini siano finiti nel carrello della spesa dei francesi, e la ricerca quest’informazione ce la fornisce. La categoria più popolare è quella dei vini bianchi, in crescita, mentre i rosé e soprattutto i rossi calano. Queste dinamiche si riflettono anche sulle vendite nella gdo francese da parte delle singole aree produttive. Côtes de Gascogne e Provenza, la prima specializzata soprattutto nei bianchi leggeri e aromatici, l’altra nei rosé, aumentano i collocamenti; Pays d’Oc e Bordeaux, votate ai rossi più di struttura, calano. Di fatto, la tendenza è la stessa che abbiamo in Italia, anche se da noi l’anno scorso il segno negativo c’è stato anche sui vini bianchi, con la differenza che in Italia non è mai emersa una zona specializzata nei vini rosa, com’è invece accaduto in Francia con la Provenza.

Io non so se i dati della grande distribuzione francese e di quella italiana siano lì a indicare un cambio strutturale nelle scelte d’acquisto dei consumatori (lasciamo perdere gli esperti, quelli rappresentano quantitativi piccoli, seppure a prezzi remunerativi). Se insomma la gente incominci ad essere stanca del vino rosso, soprattutto adesso che con l’innalzamento delle temperature i rossi hanno preso la rampa di lancio in termini di crescita delle gradazioni alcoliche, e se dunque per il consumo domestico si vada in cerca di una più o meno effettiva leggerezza e, nel caso del rosé, se la bolla dei vini rosa privi di tradizione stia incominciando a sgonfiarsi. Non lo so, ma i segnali mi pare che, al momento portino lì, anche se è troppo presto per dire se si tratta di una tendenza strutturale o se sia solo dettata dalla contingenza, magari economica. E poi, le campagne anti alcol, incidono anche queste?

L’Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini, sulla scorta dei dati dell’export riferiti all’anno passato, sembrerebbe indicare che il futuro del vino rosso italiano stia nella premiumizzazione, ossia che le prospettive migliori siano quelle di chi ha saputo qualificarsi meglio e dunque aumentare il posizionamento di prezzo. Mi pare una lettura corretta, lato esportazione, e forse anche lato interno horeca. Mi domando però se, alla lunga, in questo modo non si rischi di tagliar fuori tutte quelle famiglie che hanno visto e vedono affievolirsi il loro potere d’acquisto a fronte dell’aumento dell’inflazione e dei tassi, ma non degli stipendi.

A fronte delle dinamiche in atto, il dato che assilla il settore è che c’è troppo vino in cantina, e c’è chi chiede che si assumano misure emergenziali: accade in Italia come in Francia e anche altrove. Infatti, di solito, quando c’è una crisi di vendite, locale o globale, mancando una pianificazione complessiva del sistema e non disponendo di altri strumenti, la filiera del vino agisce pressoché solo mediante azioni di regolazione dell’offerta, che presuppongono tagli orizzontali delle rese, distillazione delle giacenze, espianto di vigneti e altri interventi similari, tutti ugualmente illiberali, e dunque contrari alle logiche stesse della concorrenza e del libero mercato. Nei fatti, un circolo vizioso che autogenera altre crisi.

A questo punto mi tocca nuovamente alzare le mani, dicendo che la soluzione io non ce l’ho proprio in tasca. So tuttavia che quando la ruggine attacca la carrozzeria, la frizione slitta e il motore incomincia ad andare in affanno, puoi mettere le pezze che vuoi alla tua macchina, ma tappata una falla se ne apre subito un’altra ed è un continuo salasso per il portafoglio. Forse è meglio cominciare a pensare seriamente di cambiare la macchina.