Comunicare il vino per il tempo di un battito di ciglia

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Quand’ero giovane, ossia parecchio tempo fa, le canzoni di successo erano quelle che parevano destinate a durare in eterno. Non a caso si definivano evergreen, sempreverdi: sembravano non invecchiare mai, e tutti continuavamo a cantarle, e tuttora continuiamo a farlo. Il ritornello o mare nero, mare nero, mare ne l’hanno stonato tre generazioni. Invece mi pare che adesso le canzoni siano diventate quasi tutte effimere. Si pubblicano, hanno più o meno successo per un periodo limitato e poi scompaiono, sostituite da nuove canzoni, vittime di una frenesia che consuma la memoria.

Accade la stessa cosa, e anche peggio, con le fotografie, che una volta venivano stampate e conservate con cura come oggetti preziosi e oggi hanno vita per il tempo di qualche like sui social media, e poi spariscono nell’oblio digitale. Hanno perso valore. Mi domando, allora, perché si attribuisca così tanta importanza al fatto che una bottiglia appaia o meno sui social media. Si tratta di una provvisoria conferma della sua esistenza in vita, che necessita però di continue riaffermazioni, pena la scomparsa. L’immagine della bottiglia, da sola o in mano a chicchessia, durerà il tempo di preparare un nuovo post, e poi verrà assorbita dalle sabbie mobili dei bite. Dunque ne serve un’altra, e un’altra, e un’altra. È una corsa frenetica, sfinente, dispendiosa e per certi versi ansiogena, per chi produce contenuti e per chi se li vede sfilare in bacheca, finché prende la noia e con la noia il rigetto.

Non sto sminuendo il ruolo dei cosiddetti (delle cosiddette) influencer: la loro è una professionalità che risponde efficacemente a una domanda che proviene dal mondo produttivo. Il mio dubbio è proprio sulla domanda in sé: bisognerebbe chiedersi se questo genere di attività possa contribuire a costruire una percezione duratura di un brand, e tenderei a dire di no. Costruisce una percezione momentanea e passeggera, che magari è altissima in quel preciso istante, ma che ha breve durata, se non è continuamente alimentata e addirittura sovralimentata. Perché la mia impressione è che, alla fine, il vero brand che il “consumatore di bite” memorizza in maniera durevole sia l’influencer in sé, non il prodotto di volta in volta rappresentato. Ma, per un vino, un’affermazione che non sia durevole è tutt’altro che un successo. Il successo di una canzone può anche durare un paio di mesi, ma un vigneto dura almeno venticinque o trent’anni. Serve continuità.

Le guide del vino, quelle almeno duravano un anno, davano una qualche certezza di continuità. Oggi le guide continuiamo a dire che hanno fatto il loro tempo. Però il tempo loro lo hanno fatto, e hanno creato il successo duraturo di parecchi vini. Quale successo potrà mai generarsi con dei post che durano lo spazio di un battito di ciglia? Temo che siamo di fronte, nel vino, a una sovrabbondanza di comunicazione effimera. Non credo che sia questa la via per costruirne davvero la reputazione di un vino. Il problema è che, al momento, non ne vedo altre, di vie. Il che mi porta in un vicolo cieco.