Non è vero che c’è meno gente che beve vino

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Nel mondo del vino – quello prodotto, quello versato, quello parlato e quello scritto – si continua a piagnucolare che in Italia c’è sempre meno gente che ne beve e che sono soprattutto i giovani a non berne più. Le due affermazioni sono entrambe false. Semmai, è vero che c’è più gente che beve vino, ma non lo beve tutti i giorni. Insomma, è cambiato lo stile di consumo, non il piacere di un bicchiere. Lo si desume dalla sintesi dei dati Istat proposta da Marco Baccaglio, in maniera come sempre puntuale, utilissima ed esemplare per chiarezza, sul suo sito internet I numeri del vino. “I dati più interessanti – scrive Baccaglio – sono sulle fasce di età e ci mostrano che la penetrazione del consumo di vino sta crescendo in Italia, soprattutto nella parte giovane della popolazione, con una forte preponderanza del consumo sporadico e un calo netto anche per le medesime fasce di età del consumo giornaliero”. Amen.

Dai dati sintetizzati sul portale, si ricava che nell’ultimo decennio la percentuale degli italiani bevitori di vino è cresciuta dal 64% al 65,5% e contestualmente è aumentato il numero di bevitori di vino nelle fasce giovani: per esempio, i bevitori di vino in quella dei ventidue-ventiquattro anni è passata dal 42% al 50% (digli niente a un balzo del genere). Questi dati fanno il paio con le impressione del tutto empiriche sul consumo giovanile che ho avuto io, e di cui ho scritto lo scorso aprile; inoltre, il fatto che il picco, dei consumi sia ora concentrato nella fascia 35-44 anni, mentre nel 2013 era a 55-59 anni, consolida un’altra mia osservazione, che poteva sembrare molto azzardata quando la scrissi, ossia che sono soprattutto coloro che diventano anziani a non potersi (o volersi) più permettere il vino, e che dunque è di loro che ci si dovrebbe preoccupare da parte di chi fa promozione. Semmai, come si diceva, a calare, e sempre più sensibilmente, è il numero dei bevitori abituali di vino, precipitato dal 39% di dieci anni fa all’attuale 29%. Il vino è sempre meno una frequentazione quotidiana.

Ripeto, la lettura dei dati, che invito ad approfondire nei due pezzi pubblicati da I numeri del vino, ossia quello sui consumi delle bevande alcoliche in Italia e quello sul consumo di vino in Italia per regioni e classi di età, sfata i piagnistei di taluni sedicenti esperti di settore e dice chiaramento che chi in Italia volesse davvero pensare all’ideazione di nuove strategie di posizionamento del vino dovrebbe studiare per bene i numeri e le tendenze, e farlo in maniera molto attenta, professionale e priva di pregiudizi, atteggiamento che invece non mi pare sia particolarmente diffuso in un settore come quello vitivinicolo italiano, che rimane troppo spesso ancorato a un sostanziale dilettantismo imprenditoriale, cosa bellissima quando si voglia parlare di poesia del vino, ma improvvida quando si debbano affrontare le dinamiche mutevoli dei mercati. Certo, conta molto il fattore dimensionale delle aziende italiane, in genere piccolo o piccolissimo, e quindi non in grado di sviluppare strategie complesse, e perfino i colossi nostrani, che penso possiedano fonti statistiche dirette e strumenti evoluti di analisi (e anche, voglio sperare, adeguati analisti), sono, tutto sommato, di dimensioni modeste rispetto ai leader del vino mondiale. Così da noi molto spesso prevalgono il “si è sempre fatto così” e la presunzione che comunque a un calo dei volumi faccia sempre seguito un picco verso l’alto, quando la situazione economica e sociopolitica finalmente lo permetta. Ma se il mondo fosse davvero cambiato a qui da noi a non essersene accorto fosse proprio il piccolo mondo provinciale del vino?