Quando la “trasparenza” del vignaiolo aiuta l’industria

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L’ho scritto su Facebook, ma voglio riprenderlo anche qui su InternetGourmet. Di tutto il gran parlare che s’è fatto sui social riguardo alla faccenda del “no” della Fivi all’obbligo dell’indicazione degli “ingredienti” sulle etichette del vino, con la reazione a volte scomposta di qualche vignaiolo che invoca la “trasparenza”, c’è una cosa che mi sorprende assai.
La cosa che mi sorprende è che non si comprenda che alla fin fine le etichette di un vino “naturale” e di un vino “industriale” sarebbero pressoché identiche, con la sola differenza dell’incidenza dei costi di certificazione, ovviamente più elevati, in proporzione, per chi è piccolo.
Mi sorprende insomma che con questa loro battaglia nel nome di una presunta “trasparenza” alcuni piccoli produttori artigianali finiscano per rischiare di ottenere soltanto, alla luce delle normative e di come sono costruite, lo “sdoganamento” del vino “industriale”, che non avrebbe etichette realmente diverse da quello “artigianale”, “purificandosi” così agli occhi del consumatore, che a quel punto sceglierebbe ancora di più il prezzo più basso.
Ecco, proprio non capisco.