A chi e a cosa serve Opera Wine?

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Per quanto io mi sia sforzato, non ho capito perché a Verona, durante il Vinitaly, e con l’organizzazione del Vinitaly, si debba svolgere quella cosa chiamata Opera Wine. O meglio, il titolo completo è questo: “OperaWine, Finest Italian Wines: 100 Great Producers”. Vuol dire, leggendo letteralmente, che quella sarebbe la rassegna dei migliori vini italiani, realizzati da cento grandi produttori. A decidere quali siano questi gioielli dell’Italia enologica è Wine Spectator, la rivista americana.
Leggo così sul sito dedicato ad Opera Wine: “Veronafiere con Vinitaly, grazie alla preziosa collaborazione con la rivista ‘Wine Spectator’, presentano ‘OperaWine, Finest Italian Wines: 100 Great Producers’ evento esclusivo che offre agli operatori specializzati di tutto il mondo la possibilità di conoscere i 100 produttori italiani selezionati dalla prestigiosa pubblicazione americana, degustando i migliori vini all’interno del Palazzo della Gran Guardia”. E poi: “OperaWine, evento premier di Vinitaly, arrivato alla sua quarta edizione, apre le porte a coloro che vogliono vivere in poche ore un concentrato dell’eccellenza vinicola che l’Italia possa offrire”.
Ora, il Vinitaly sta in piedi grazie alle migliaia di cantine che pagano fiori di quattrini per acquistare uno spazio espositivo. Mi domando come possa Vinitaly utilizzare “anche” quei quattrini per avvalorare le scelte di una rivista, pur famosissima e influente, in merito a un elenco di produttori che rappresenterebbero “un concentrato dell’eccellenza vinicola che l’Italia possa offrire”. E le altre centinaia di produttori che tirano fuori i loro soldini per far funzionare il Vinitaly, allora, cosa sono? Si rende conto Veronafiere che in questa maniera accende i riflettori su pochi dentro ad Opera Wine, rischiando di sminuire il ruolo dei tanti che stanno dentro al Vinitaly?
Mi domando poi che senso abbia affidare ad una rivista americana, di cui pure sono lettore, l’indicazione di quel che sarebbe il meglio dell’enologia italiana. Vero che gli Stati Uniti rappresentano il più importante mercato vinicolo al mondo, ma è dunque il gusto americano quello che dobbiamo per forza assecondare? Si rende conto Veronafiere che in questa maniera rischia di influenzare la produzione italiana verso scelte etero dirette?
Poi, c’è un altro (grosso) dubbio che mi viene alla mente da lettore di Wine Spectator. Ed è relativo ai cento vini selezionati. Come ho detto, la rivistona americana la leggo ogni mese (sono abbonato). E vedo, con soddisfazione, che molti vini italiani ottengono dei punteggi di altissimo valore. Ormai la soglia magica dei 90 punti viene oltrepassata sempre più frequentemente. Allora mi domando come facciano a rappresentare la top 100 italiana vini ed aziende che hanno avuto “appena” 90 punti, mentre non sono presenti ad Opera Wine vini e cantine che sono andati ben oltre. Non quadra.
Ancora, se i cento produttori presenti ad Opera Wine sono, secondo Wine Spectator, le punte d’eccellenza dell’Italia del vino, perché così pochi tra di loro hanno figurato e figurano nella top 100 mondiale? Si rende conto Veronafiere che questo rischia di essere letto come una pubblica ammissione dell’incapacità del vino italiano di primeggiare nel contesto internazionale? Se fra i cento migliori produttori italiani solo una sparuta minoranza è degna della top 100 di Wine Spectator, c’è poco da stare allegri per gli altri. Gli altri che, per inciso, sono “anche” quelli che tirano fuori dei bei quattrini per pagare il Vinitaly.
Aggiungo: se questa è l’eccellenza italica avvalorata da Vinitaly e Veronafiere, perché mai allora gli stessi soggetti continuano ad organizzare un proprio concorso enologico? Qual è il significato di due graduatorie che hanno gli stessi promotori? Insomma chiedo (retoricamente): l’eccellenza è essere presenti a Opera Wine o avere la medaglia d’oro del concorso enologico? Ah, se almeno con la nascita di Opera Wine si fosse scritta la parola “fine” sul concorso!
Ciò detto, insisto: non riesco a capacitarmi a cosa serva davvero quest’Opera Wine. A me pare che al vino italiano, nel suo insieme, non serva, e che anzi possa comportare qualche rischio.
L’auspicio è che la si metta in soffitta, questa rassegna. Che non la si ripeta. Ho tuttavia la sensazione che il mio auspicio non abbia l’esito sperato, e che il prossimo anno Opera Wine ritorni, con gli stessi interrogativi di oggi.