Vinitaly, ci siamo quasi

vinitaly_banner_500

Dunque, ci siamo, la cinquantasettesima edizione di Vinitaly, quella in programma a Verona fra il 6 e il 9 aprile prossimi, è stata presentata ufficialmente. I dati salienti parlano di circa quattromila aziende espositrici suddivise in diciotto padiglioni, tra fissi e tendostrutture, e di milleduecento top buyer accreditati e ospitati in città, provenienti da settantuno paesi, con gli Stati Uniti al primo posto fra le provenienze  extra Ue, il che non era così scontato, alla luce dei mal di pancia legati all’ipotesi dei dazi sul vino; a seguire, il Canada, la Cina, il Regno Unito e il Brasile, e poi anche l’India, Singapore, il Giappone e la Corea del Sud, mentre sul continente europeo primeggiano la Germania, la Svizzera, il Nord Europa e l’area balcanica. Veronafiere si aspetta che arrivino, poi, altri trentamila compratori internazionali, da centoquaranta nazioni. Più gli italiani, ovviamente, che presumo saranno tanti, come sempre.

Accolgo inoltre con favore l’annuncio dato dall’amministratore delegato della fiera veronese, Maurizio Danese, che “la svolta iniziata dieci anni fa, con la divisione netta tra business in fiera e winelover in città“, e dunque tra Vinitaly e Vinitaly and the City, “è oggi irreversibile e dovrà trovare un ulteriore sviluppo nei futuri piani strategici di Veronafiere”. A quest’idea ci ho sempre creduto e le ho dato anche qualche mio contributo, in termini sia di dibattito, con i miei scritti, sia di operatività, organizzandovi e gestendovi, in passato, varie iniziative, anche quando a crederci non eravamo, in fondo, proprio moltissimi.

In questo articolo