A Somma Vesuviana è stata ritrovata una delle più grandi aziende vitivinicole di epoca romana del Mediterraneo. Non è una scoperta recentissima, ma quanto dedotto di recente dallo scavo della ormai famosa Villa di Augusto. Ovvero, i 2.500 metri quadri scavati contengono il cellarium di questo enorme e raffinato edificio attribuito erroneamente all’imperatore Cesare Ottaviano Augusto, il primo imperatore romano, proprio perché imponente nelle dimensioni, regale e “apud urbem Nolam”, dove morì nel 14 d.C. in seguito ad un malore improvviso durante un viaggio. Così scrisse Tacito negli Annales e Tiberio si recò sul posto per rendergli omaggio. Ma nel corso degli anni di scavo e di studio condotti dall’Università di Tokyo e da Antonio De Simone, professore straordinario in storia dell’Architettuta Antica dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, si è capito che la villa non avesse nulla di riconducibile ad Augusto e si è poi inteso qualcosa di più straordinario.
L’eruzione del 79 d. C., quella che distrusse Pompei ed Ercolano, non ha posto fine alle attività agricole nell’area vesuviana, tanto meno alla vitivinicoltura che qui ricopriva un ruolo importantissimo grazie al suolo fertile per la sua natura vulcanica. Come del resto testimonia l’affresco pompeiano della Casa del Centenario raffigurante bacco rivestito di acini d’uva dinanzi a Vesevo ricoperto totalmente di vigneti. Questa struttura è stata invece distrutta dall’eruzione del 472 d. C. ed offre quindi un tracciato storico sconosciuto. Una realtà inaspettata che magicamente si rivela e preserva uno scorcio di agricoltura vesuviana dell’epoca.
La vocazione agricola di Somma Vesuviana è attestata dal medioevo in poi prima di questo scavo – qui le famiglie nobili aragonesi cominciarono a costruire masserie e residenze. Entrando si notano i filari dei dolia dalle dimensioni notevoli. Ognuno ha una capacità compresa tra i 1.000 e i 1.400 litri e nell’insieme contenevano dagli ottanta ai centomila litri di vino. Quindi in questo sito si svolgeva una attività vitivinicola intensa e specializzata: sul pavimento è distribuita una rete di canaletti che confluivano il nettare di Dioniso dalla vasca di fermentazione sino ad ogni singolo dolium interrato e chiuso con sigillo portante nomi di famiglie di origine ercolanese.
Si è anche capito durante gli studi che la funzione del cellarium non fosse quella originale, bensì questo spazio costituiva il grande ingresso, il luogo dell’accoglienza, nel quale evidentemente si è trasferito il materiale destinato alla vinificazione in seguito ad una parziale distruzione dell’edificio, precedente all’eruzione del 472 d.C., l’anno in cui qui si ferma la vita e l’Impero Romano sta per decadere.
Questo luogo esercita un grande fascino su chi lo visita anche per la raffinatezza degli affreschi e dei decori tutti riconducibili al culto di Dioniso. La statua a lui dedicata è considerata un unicum sia per la bellezza, sia per il fatto che rappresenti la divinità secondo il culto orientale dal quale proviene. Siamo abituati a vedere il dio del vino interpretato da un omone panciuto e poco piacevole, mentre questo Dioniso è giovane e molto bello, portante in braccio una pantera. Oggi la statua è esposta nel Museo Archeologico di Nola e fu trovata ribaltata al suolo.
Anche su questo particolare si sono fatte ipotesi nuove riconducibili ad un tempo vicino alla fine dell’Impero Romano e quindi al passaggio dall’era pagana al cristianesimo.
Che la statua sia stata tirata giù perché ritenuta blasfema? Ovviamente questa è solo un’ ipotesi.
Altro particolare intrigante è rappresentato da numerose buche, più o meno uguali nelle dimensioni, ritrovate fuori il portale che guarda verso il monte Somma. Indagando sull’esperienza dei contadini della zona, molto probabilmente quelle buche contenevano le piante di vite, poi carbonizzate dall’eruzione, quindi la villa era circondata da vigneti.