Ma il Soave è un underachiever

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Ah, queste benedette parole inglesi che adoperano quelli del marketing (e già, anche marketing è una parola inglese). Stavolta ne ho letta una che suona così: underachiever. Vuol dire, letteralmente, qualcuno o qualcosa che ha un rendimento inferiore alle attese. Nello specifico, il Soave è un vino underachiever tra i vini bianchi italiani poiché underachiever è la sua uva dominante, la garganega, il che mi pare piuttosto preoccupante per una denominazione che si autodefinisce “il più grande vigneto d’Europa” con i suoi 6600 ettari coltivati prevalentemente proprio a garganega.

La definizione di underachiever per il Soave e per la garganega la trovo in un’indagine sulla presenza dei vini bianchi autoctoni nella ristorazione italiana segnalata dalle principali guide, realizzata da Nomisma-Wine Monitor per l’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) e presentata a Vinitaly.

Ordunque, secondo questa ricerca, tra le regioni più rappresentate in carta, vince nettamente il Friuli Venezia Giulia (40%), seguita da Alto Adige (15%), Sicilia (9%) e Marche (7%). Poi Abruzzo, Trentino, Veneto, Campania, Piemonte e Valle D’Aosta. Ora, ammettiamolo, trovare il Veneto soavista e la Campania del Fiano, del Greco e della Falanghina così indietro suona un po’ strano. Però la botta vera arriva più avanti.

Riporto fedelmente (ahimè, con i nomi di vitigno con la maiuscola, cosa che a me non piace) dal comunicato stampa ufficiale: “Underachiever (che potrebbero fare di più), emergenti, immancabili e onnipresenti. Sono le 4 categorie riassunte in una matrice che incrocia il tasso di penetrazione nelle wine list con il potenziale produttivo in termini di superficie. Tra gli underachiever troviamo 4 tra i più diffusi vitigni autoctoni: il Glera (Prosecco), il Garganega (Soave), il Catarratto e il Trebbiano. Tra gli emergenti, alcune nicchie: Pignoletto, Passerina e Pecorino, mentre sono ‘immancabili’ nei ristoranti Falanghina, Fiano, Vermentino, Friulano, Traminer e un altro marchigiano, il Verdicchio. Onnipresente è infine il Moscato, nella maggioranza dei casi inteso nella sua interpretazione di vino dolce. In carta l’autoctono più presente (con esclusione della regione di appartenenza del ristorante) è il Traminer (Trentino e Alto Adige), presente nell’84% dei casi, prima di Moscato (78%), Tocai Friulano (74%), Vermentino (73%), Fiano (69%) e Verdicchio disponibile in 65 locali su 100. Seguono Falanghina, Trebbiano, Catarratto, Garganega, Pecorino (46%), Glera, Passerina (35%) e Pignoletto”.

Ora, che la glera sia indietro nella conoscenza del pubblico che frequenta la ristorazione lo trovo perfino ovvio: si domanda un Prosecco, mica una glera, e comunque fino a una manciata di anni fa, prima di chiamarsi ufficialmente glera, quest’uva si chiamava prosecco. Che invece sia sottoperformante la garganega, ancorché non mi stupisca (giro i ristoranti italiani, e dunque vedo le carte dei vini) suona male assai per il presente e il futuro del Soave. Occorre meditarci, mi pare.

Così pure, da meditare è l’affermata onnipresenza del moscato (ma allora, questa crisi dell’Asti che ragioni ha?) e parimenti lo è la performance non esaltante del Trentino, nonostante il successo del traminer, che però è soprattutto altoatesino (ma, si sa, in terra trentina si è puntato sul pinot grigio, che va bene per l’export, ma che non tira da noi).

 


4 comments

  1. simone velasco

    Caro Peretti, l’indagine e’ svolta non sui consumatori ma sui ristoranti in gran parte di fascia medio-alta. Quindi gli intervistati sono i ristoratori e i sommelier, che ben conoscono i nomi dei vitigni, glera compresa.
    simone velasco, ispropress – ufficio stampa istituto marchigiano di tutela vini

  2. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Scusi Velasco, ma io cosa ho scritto? Ho scritto: “Sulla presenza dei vini bianchi autoctoni nella ristorazione italiana segnalata dalle principali guide”. Esattamente quel che stava scritto nel comunicato di presentazione della ricerca. Ovvio che sono d’accordo con lei: “gli intervistati sono i ristoratori e i sommelier, che ben conoscono i nomi dei vitigni, glera compresa”. Altrettanti ovvio, aggiungo, che questi interevistati sono le “sentinelle” delle conoscenze dei loro clienti.

  3. simone velasco

    mi riferivo a questo passaggio:
    (…) ora, che la glera sia indietro nella conoscenza del pubblico che frequenta la ristorazione lo trovo perfino ovvio: si domanda un Prosecco, mica una glera (…).
    io questa riflessione non la comprendo: non è stato chiesto al consumatore cosa sia la glera ma al ristoratore quali vini bianchi autoctoni siano presenti in carta. dove ovviamente compare anche la parola prosecco.

  4. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    L’offerta dei ristoratori è condizionata, almeno in parte (ma in molto casi anche in ampia parte, direi), dalla domanda proveniente dalla clientela.

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