Quel Vermentino che insegue la longevità

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Il Vermentino di Poggio Levante va in commercio non prima che siano passati tre anni dalla vendemmia. Già questa è una notizia, in un mondo tuttora intasato di assurdi pregiudizi verso i vini bianchi da lungo affinamento. In più c’è che questo Vermentino esce in bottiglie renane chiuse con la capsula a vite, e la scelta di questa chiusura è coerente con l’obiettivo aziendale di produrre un bianco longevo, perché, lo ribadisco forte e chiaro, il tappo a vite è soprattutto per i vini che devono durare, non già o non solo per quelli di beva immediata, checché ne pensi chi persevera nel dare credito a luoghi comuni immotivati e stantii. Basta e avanza per farne una delle più interessanti novità in circolazione.

L’azienda è nella Maremma interna, ai piedi del Monte Amiata, una quarantina di chilometri dal mare. Il titolare è un giovane, Alberto Facco, figlio di commercianti veneti di macchine agricole. Voleva fare vino e ha scelto la terra grossetana, dove ha tre ettari di vigne, condotte secondo i canoni dell’agricoltura biologica. Lo incontrai a Vinitaly la scorsa primaversa, su suggerimento di Pierpaolo Penco. Ero stanco, a fine giornata, e assaggiai di corsa il suo Vermentino. Ne rimasi colpito, ma non ero nelle condizioni di prestarci la dovuta attenzione. Scattai un paio di foto, scarabocchiai qualche appunto e mi ripromisi un futuro riassaggio. Ora ho avuto occasione di riprovare quello stesso vino con meditata accortezza, a casa mia, in una mini verticale, dall’annata 2018 alla 2020, ossia, se non erro, le tre vendemmie sin qui uscite in commercio. L‘impronta dell’annata è evidente e accentua lati diversi della personalità del vino, pur mantenendo nella sostanza le medesime tracce aromatiche, che di primo e distratto acchito possono far pensare a un riesling nordico, stante quella vena di ibrocarburi e quella memoria di agrumi che accompagnano, costanti, il sorso, e che gli ritagliano addosso una veste di fascinosa e serissima austerità, accentuata da una freschezza quasi elettrica. (Del resto, che questo Vermentino voglia giocare a nascondino con il bevitore lo dicono sia la bottiglia, che è quella classica dei riesling renani, sia il nome, Unnè, ovvero, in lingua maremmana, “non è quel che sembra“.) Ho dunque trovato più fruttato e meditativo (e direi maturo) il 2018; più composito ed elegante (e di grande appagamento sensoriale) il 2019; più snello e floreale (e ancora in fase di promettente compimento, essendo giovanissimo) il 2020. Tutti e tre sono peraltro vini di una pulizia esemplare, e sono anche capaci di una progressiva, lenta evoluzione nel calice. Il bello è proprio prendersela calma, bevendo questo vino, per attenderlo nel suo disvelarsi flemmatico.

“Sono consapevole del fatto che raggiungere la riconoscibilità di un vino – mi ha detto Facco – sia un processo lungo”, e ha perfettamente ragione, ma la mia impressione è che già sin d’ora il Vermentino di Poggio Levante lasci intendere che il cammino è stato intrapreso con passo saldo, e che sarà piacevole accompagnarlo nel percorso negli anni. Il bianco buono non vuole mai la fretta. Mai.

Maremma Toscana Vermentino Unnè 2018 Poggio Levante
(87/100)

Maremma Toscana Vermentino Unnè 2019 Poggio Levante
(92/100)

Maremma Toscana Vermentino Unnè 2020 Poggio Levante
(90/100)