Il comune di Madruzzo, abitato da soli tremila abitanti, è situato nella parte meridionale del Trentino. È frutto della fusione, avvenuta nel 2016, dei comuni di Calavino e di Lasino. Sul territorio comunale sono sparse varie località, ossia Calavino, Castel Madruzzo, Lagolo, Lasino, Pergolese e Sarche, distribuite in quella che viene chiamata la Valle dei Laghi per la compresenza di alcuni piccoli specchi d’acqua, tra i quali mi sono cari il lago di Toblino e quelli di Cavedine, di Santa Massenza e di Lagolo. Alla complessità geografica dovete sommare anche quella delle genealogie familiari. Ve ne renderete conto il giorno che decideste di fermarvi a Pergolese per cercare la famiglia di vignaioli e di distillatori dei Pisoni. Vi è d’obbligo, in tal caso, specificare se il vostro interesse ricada per quel ramo dei Pisoni che si occupa di distillati e di spumanti, oppure per quell’altro che si concentra sui vini fermi. Non che gli appartenenti all’uno e all’altro ramo vi neghino il loro gentile supporto, qualora sbagliaste campanello, ma per togliervi d’imbarazzo – e toglierci me stesso – vi dico che sto per parlarvi della Distilleria Fratelli Pisoni, ossia quell’azienda che ha come insegna la dicitura Pisoni dal 1852 e produce gli spumanti della doc Trento, le grappe e altri distillati.
Mi soffermo qui, in particolare, sulla loro produzione spumantistica, dato che a suscitarmene la curiosità è stata la recente notizia che il loro Trento Extra Brut Blanc de Noir 2021 ha ottenuto i tre bicchieri del Gambero Rosso. Tuttavia, non illudetevi che questa mia semplificazione nel guardare alla sola vocazione spumantistica della famiglia abbia risolto ogni complessità. Infatti, appena entrate in azienda, di Pisoni, di varia età, vi può capitare di incontrarne parecchi, e tutti hanno storie interessanti da raccontare. Io ne ho incontrati sei. Nonno Arrigo, i suoi figli Elio e Giuliano, i loro cugini Andrea e Francesco e poi Matteo, che rappresenta la nuova generazione. Per fortuna, in azienda si sono dati una precisa e disciplinata gerarchia, per cui di ogni aspetto di cui ti interessi parlare hai un interlocutore univoco. Di spumanti ha dunque parlato Andrea Pisoni, ossia l’enologo del nucleo familiare.
Ora che vi ho descritto la multiforme complessità del luogo e della famiglia, vi devo anche rassicurare nel merito dello stile spumantistico. Infatti, questo è chiarissimo e riconoscibile, fondato sull’austerità, sull’assoluta pulizia dei profumi e sulla sapidità, elementi che fanno da filo conduttore in tutte le bottiglie. Un altro aspetto che merita di essere sottolineato, perché si discosta dalla linea spesso seguita nei territori spumantistici, è che i Trento dei Pisoni hanno un’impronta marcata dalle singole annate. Ciascun millesimo è del tutto riconoscibile, come ho potuto appurare da una verticale di cinque annata del Blanc de Noir, dalla 2017 alla 2021. Per mantenere pura questa connotazione, in cantina non tengono nemmeno vini di riserva. L’annata si conclude in se stessa, e se ne consolida l’essenza con degli affinamenti intorno ai trenta mesi. Aggiungo che le bottiglie del Blanc de Noir non sono molte, intorno alle otto-novemila per anno, mentre sono centottantamila le bottiglie totali, includendovi anche quelle fatte con lo chardonnay e il pinot bianco.”Tutti i Trento sono in purezza“, dice Andrea Pisoni. “È una mia scelta, per esaltare le caratteristiche del singolo vitigno. Faccio una cuvée di uve della stessa varietà provenienti da parcelle coltivate in territori diversi”. Inoltre, tutte le bottiglie vengono accudite con il remuage manuale, tant’è che qui dicono orgogliosamente che “ogni bottiglia del Trento doc Pisoni conta centotrenta operazioni manuali”, e Andrea sottolinea che “in questo modo le bottiglie non si toccano mai tra di loro, cosicché non ne risente l’anidride carbonica”.
C’è anche una piccolissima produzione di rosé da pinot nero, che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia da quant’è buono, e sono riuscito a convincerli anche a farmene assaggiare una bottiglia che stava “in punta” da quarantuno mesi, la quale mi ha fatto ancora più convinto di quel che avevo intuito, ossia che se si potesse prolungarne la sosta sui lieviti ne uscirebbe uno dei più avvincenti rosé mai prodotti in Italia. Io me ne sono già prenotata una bottiglia, se per caso la produrranno (meglio ancora una magnum).
Ora dico dei vini assaggiati, in ordine temporale di assaggio.
Trento Blanc de Noir Extra Brut 2017. Ha la dinamicità che mi aspetto da un metodo classico trentino. Il sale è consistente, la bollicina piccante, il frutto succoso, i profumi alpestri, la speziatura minuta. Ne vorrei stappare subito un’altra bottiglia. (94/100)
Trento Blanc de Noir Extra Brut 2018. Questo è più compatto. Ha la polpa della nespola del Giappone e l’acidità della mela granny smith. Presenta fragranze officinali e un accenno di lampone. (88/100)
Trento Blanc de Noir Extra Brut 2019. Altro cambio di prospettiva. Cipria ed essenze erbacee. Sembra di camminare in un prato d’altopiano. Snello, affilato, acidulo di mandarino e molto, molto salato. (90/100)
Trento Blanc de Noir Extra Brut 2020. Di nuovo un cambiamento. Adesso ecco le spezie dolci orientali, unite all’acidità del fruttino di siepe. Ha in comune con gli altri la sapidità, ma mi sembra vagamente irrisolto. Forse vuol tempo. (88/100)
Trento Blanc de Noir Extra Brut 2021. Il frutto è la nespola selvatica, e poi la mela cotogna. La bolla si concede con pacatezza. Avvolge. Il sorso ha la trama carezzevole del raso. In fondo, la nocciola. Capisco che l’abbiano premiato. (93/100)
Trento Extra Brut Pinot Bianco 2020. Sorpresa! Un pinot bianco. Sapido e compatto, ricorda profondamente il vitigno. La florealità si intride di tracce mandorlate e di accenni di salvia. Il sale è tanto. (89/100)
Trento Rosé Brut 2021. Wow! Questo ha un dosaggio maggiore, sui sette grammi per litro, che serve a bilanciare un’acidità irrefrenabile. La fragolina di bosco è stuzzicante, al pari dei ricordi nitidissimi delle erbette alpine. (93/100)
Trento Rosé Brut 2021 non dosato. Ecco il medesimo rosè tuttora sui lieviti da quarantuno mesi, aperto à la volée da Andrea, che ha gentilmente acconsentito a soddisfare la mia curiosità. Chiaro che non è in commercio, e altrettanto ovviamente non è dosato. È un tripudio di fragolina e di melagrana, e sui lieviti potrebbe starci ancora un bel po’. Mi piacerebbe averne una bottiglia così, nature. Mi piacciono, infatti, i grandi rosé. Questo è, in potenza, uno dei più buoni rosé metodo classico che abbia bevuto in Italia. (95/100)