Non mi piace

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Da piccoli, i miei figli non hanno mai fatto capricci al ristorante. Stavano seduti composti, non strillavano, non chiedevano di correre in giro e mangiavano tutto. Solo a casa, qualche volta, se ne uscivano con un testardo: “Non mi piace” per una nuova pietanza che avessero nel piatto. La contromossa degli adulti, in casi simili, è un ragionevole: “Come puoi dire che non ti piace, se non l’hai nemmeno assaggiato”, ma di fronte alle bizze infantili la logica fallisce. Io speravo che col tempo sviluppassero un gusto personale, come infatti, grazie al cielo, è avvenuto. Nel frattempo, mi limitavo a pensare: “Dio, che palle“.

Noto che sui social media, ma anche in certe chiacchiere che origlio involontariamente al bar, alcuni adulti bevitori si esprimono in maniera altrettanto irragionevole riguardo ad alcune categorie di vini.

Il vino chiuso con il tappo a vite? “Non mi piace”. L’hai provato? “No, non mi piace”. Il vino naturale? “Non mi piace. Puzza”. Come fai a dire che puzza se non l’hai bevuto? “Non mi piace e basta”. Il vino delle cantine sociali? “Non mi piace”, così, per pregiudizio. Il vino in lattina? “Non mi piace”, senza alcun assaggio a motivare il rifiuto.

Come si nota, in casi simili la ragionevolezza non ha scampo. Confido che l’obiettore prevenuto prima o poi sviluppi un motivato senso critico, ma sono pressoché convinto di sperare invano. Mi limito pertanto a pensare soltanto: “Dio, che palle”.