Marinella, i suoli, la conoscenza e il vino

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Il momento è caratterizzato da una sorta di fobia nei riguardi della conoscenza. Studiare, ricercare, approfondire, analizzare, argomentare sono verbi che il sentire di molti snobba con spirito insofferente. Ho fiducia che si tratti di una fase passeggera di smarrimento e che dunque presto si possa tornare ad ascoltare con la dovuta attenzione la voce di chi possieda fondamento, e tuttavia, fa molto piacere che vi siano degli episodi che accendono subito una luce nel buio che appanna molte menti, anche nel mondo che ci è prossimo, ossia quello del vino.

Uno di questi confortanti bagliori proviene dall’est della provincia veronese, da quella Val di Mezzane dove da trentacinque anni fa vino una vignaiola dal carattere deciso, marcato, ossia quella Marinella Camerani, che con la sua Corte Sant’Alda ha contribuito a dare una svolta allo scenario vinicolo valpolicellese. Ricordo il mio primo e ormai remoto assaggio del suo Mithas, folgorante nella sua ventata di innovazione. Ora, l’azienda ha cambiato intitolazione. Si chiama Camerani e include “tre proprietà, tre figlie e tre generazioni che racchiudono l’esigenza di fare un passo avanti, importante e significativo, andando oltre la singola persona”, come dice Marinella.

Le tre proprietà sono quella storica di Corte Sant’Alda, e poi Adalia e il più recente Podere Castagnè, che si esprimono con voci estremamente personali, pur all’interno del coro familiare. Il passo avanti, invece, è dettato da un’esigenza, appunto, di conoscenza, ed eccoci al motivo del mio incipit. Nello specifico, l’azienda agricola Camerani ha commissionato a uno studioso dei suoli, il pedologo veronese Giuseppe Benciolini, un’analisi minuziosa dei terreni vitati di proprietà. Perché la conoscenza è premessa alla definizione prima e alla valorizzazione poi delle identità dei singoli vini che da quelle terre provengono, ed è pure prologo alla comunicazione, perché si può comunicare solo quel che si conosce (il resto è fumo, e oggi viviamo dentro a una grande bolla fumosa).

Lo studio è confluito in un volume che ha il titolo di “Around Soil. Suoli e Dintorni”, che si apre, nella parte tecnica, con queste affermazioni: “La qualità di un vino è determinata da fattori biologici, eco-pedologici e tecnologici che insieme costituiscono un sistema agricolo complesso che viene sinteticamente definito con il termine di ‘terroir’. Tra questi fattori la componente tecnologica ha ormai raggiunto i massimi livelli qualitativi, e quindi la massima attenzione oggi è rivolta agli aspetti biologici ed in particolare eco-pedologici cioè alla relazione tra clima, suolo e pianta che fanno di ogni ambiente vitato un mondo unico e irripetibile”. Affermazioni che condivido, ancorché manchi il quarto, e per me fondante, elemento del terroir, ossia l’umanità che di quell’ambiente vitato si occupa e che vi interagisce per farvi vini, portando con sé un carico di culture, di pensieri, di umori e di sentimenti che appartengono alle singole persone e alla comunità. Ma va da sé che Marinella e la sua famiglia di umanità ne aggiungono molta.

Nei fatti, il lavoro ora pubblicato è una vera e propria “zonazione viticola a scala aziendale”, appropriandomi della titolazione di una delle sezioni del libro. E qui sottolineo un’altra parte del testo, ossia quella nella quale si afferma che gli studi di zonazione viticola “si prestano anche ad essere strumento di divulgazione di un’azienda, del suo territorio e dei suoi vini nei confronti dei diversi operatori del settore vitivinicolo e soprattutto dei consumatori che si dimostrano sempre più esigenti ed interessati a conoscere e valorizzare la diversificazione, la tipicità e l’originalità dei vini, ma anche a scoprire, conoscere ed apprezzare il territorio dal quale provengono”. Certamente, la comunicazione del vino dovrebbe poggiare su questi elementi fondamentali. Che cosa dicevo sopra? Si comunica quel che si conosce, e nel caso dei terreni dell’azienda agricola Camerani ora si conosce pressoché tutto, essendo stata definita una “carta dei suoli” minuziosa, che si sofferma sul monte Tombole (“una terrazza affacciata sulla pianura”), sulla Corte Sant’Alda (“terre magre per grandi vini”), sul podere Adalia (“aspra e dolce terra di contrasti”) e sul podere Castagnè (“terre antiche tra boschi e castagni”). Quelli che, se fossimo in Francia, sarebbe dei lieu dit o dei climat e che invece nella nostra nomenclatura burocratica possono assumere al massimo la menzione di “vigna” o l’orrendo acronimo di “uga” che accorcia la burocraticissima e incomprensibile dizione di “unità geografica aggiuntiva”.

Nel corso di una cena che Marinella ha voluto organizzare presso il ristorante La Cru, a Romagnano, terra della Valpolicella d’oriente (il giovane cuoco, Giacomo Sacchetto, ci tiene a lavorare con quel che offre il territorio, e la stella che gli ha conferito la guida Michelin è meritata), ho avuto modo di assaggiare i Valpolicella delle tre realtà firmate Camerani, e qui di seguito dico quel che ho trovato nei calici.

Valpolicella Laute 2020 Adalia. Mettere insieme piacevolezza, facilità d’approccio e serietà non è facile. Questo rosso valpolicellese ci riesce senza troppi crucci. (88/100)

Valpolicella Cà Fiui 2019 Corte Sant’Alda. Credo di non aver mai bevuto un’edizione così buona del Cà Fiui. Frutto luminoso e solare, erbe officinali, finezza, freschezza. (92/100)

Valpolicella Superiore Poderecastagne 2018 Podere Castagnè. Ancora in botte, estratto per la cena. Ho detto a Marinella che non si azzardi a venderlo senza tenermene una cassa. Agrumi e fiori. (91/100)

Aggiungo un’altra nota. Il Cà Fiui 2019 e gli spaghetti turanici al sugo di gallinella, asparagine selvatiche e liquirizia di Giacomo Sacchetto si sono rivelati uno degli abbinamenti più avvincenti che mi sia capitato di incontrare a tavola. Tornerei a godermeli domani.