La Val di Mezzane vuole i cru dell’Amarone

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Della necessità di un cambiamento stilistico dell’Amarone ha parlato apertamente il Consorzio di tutela dei vini della Valpolicella ad Amarone Opera Prima, anteprima dell’annata 2019. Però non basta cambiare lo stile del vino, se l’Amarone vuol fare il salto di qualità definitivo nel mondo dei fine wine. Serve anche una maggiore caratterizzazione identitaria, e questa poggia sulla territorialità. Invece, sinora si è prestata più attenzione al metodo e alla tecnica, anziché all’impronta delle singole vallate. La lacuna è da colmare, ma, a parte qualche dichiarazione di principio, poco si è fatto in questa direzione, e forse non se ne avvertiva diffusamente l’esigenza perché il vento ha comunque tirato quasi sempre forte in favore dell’Amarone.

Ora però è arrivata la notizia di un’iniziativa che potrebbe aprire una prima interessante prospettiva verso una transizione “territorialista” dell’Amarone e degli altri vini delle denominazioni della Valpolicella. Tredici vignaioli della Val di Mezzane, nell’est del territorio veronese, si sono riuniti in un gruppo, che ha preso il nome di Vignaioli Valle di Mezzane. Per adesso, l’unico elemento in comune è che sono tutte aziende agricole con cantina e vigneti di proprietà in Val di Mezzane. Invece, per quanto riguarda i metodi di conduzione dei vigneti, gli stili di produzione vinicola, gli obiettivi aziendali e gli orientamenti commerciali, non c’è omogeneità. Però gli interessati dichiarano che “attorno a questo progetto intendono amalgamarsi, conoscersi, aiutarsi, divertirsi, migliorarsi nel rispetto delle proprie identità e approfondire assieme la conoscenza del loro territorio di produzione”, il che è una buona cosa. Infatti, se la Val di Mezzane fosse destinata a diventare una specie di brand più o meno riconosciuto del mondo dell’Amarone e della Valpolicella, avrà bisogno di una propria brand identity, e quella altro non è che la sintesi degli elementi di comunanza.

Intanto, i tredici hanno dato incarico al pedologo Giuseppe Benciolini di realizzare una “carta dei suoli” delle aziende del gruppo. Inoltre, e virgoletto da un comunicato, “attraverso la valorizzazione e lo studio della viticoltura il Gruppo sostiene e sollecita il Consorzio di Tutela Vini Valpolicella nel progetto di definizione di sottozone nella Doc Valpolicella in aree che rispecchiano la morfologia del territorio, i differenti climi e suoli“. Si tratta di una sollecitazione molto interessante, in quanto proveniente da aziende del tutto integrate nel Consorzio, stante la loro partecipazione massiccia all’anteprima consortile.

Non ho ancora fatto i nomi dei tredici Vignaioli Valle di Mezzane. Eccoli: Benini Alessandro, Marinella Camerani (con Corte Sant’Alda e Adalia), Falezze di Luca Anselmi, Grotta del Ninfeo, I Tamasotti, Il Monte Caro, ILatium Morini, Le Guaite di Noemi, Talestri, Massimago, Carlo Alberto Negri, Roccolo Grassi, Giovanni Ruffo. Dieci su tredici erano ad Amarone Opera Prima. Ho voluto assaggiare le loro interpretazioni dell’Amarone 2019, in modo da rendermi conto dello stato dell’arte. Ci ho trovato, di fatto, due diversi orientamenti, come del resto in tutto il più ampio comparto amaronista. Da un lato, c’è chi rincorre ancora una concentrazione in stile anni Novanta, dall’altro c’è chi tenta la via di una maggiore finezza. Si denunciano, i due stili, già nei colori dei vini: i primi hanno tinte profonde, che tendono al violaceo se non al nero, gli altri si indirizzano verso un rubino luminoso. Tra chi si orienta in direzione di un “peso” un po’ meno sostenuto, c’è qualcuno che sa effettivamente tarare il vino su un diverso punto di equilibrio rispetto al passato, garantendo un’ottima maturità del frutto e del tannino, mentre qualcun altro denota una più scarsa maturazione, soprattutto dal lato fenolico. Di strada da compiere ce n’è, ma camminare insieme sarà più facile, e soprattutto utile.

Tra le etichette di Amarone 2019 della Val di Mezzane, quelle che mi hanno più favorevolmente impressionato le menziono qui di seguito.

Amarone della Valpolicella 2019 Roccolo Grassi. In passato, l’Amarone di Marco Sartori, pur sempre tecnicamente ineccepibile, non era quasi mai ai vertici delle mie preferenze, perché orientato alla potenza. In questo 2019, che non è ancora in commercio, la proverbiale precisione tecnica, la cesellatura dei dettagli e la complessità evolvono verso un’eleganza immediata, misurata e austera, che mi ha letteralmente affascinato. (94/100)

Amarone della Valpolicella Conte Gastone 2019 Massimago. Il percorso di crescita di Camilla Rossi Chauvenet progredisce ancora con questo 2019 dal colore rubino leggero. La finezza è resa tangibile dal nitore del frutto, dall’articolazione cangiante della spezia minuta, dai ricordi officinali e terrosi del sottobosco e dalle folate di fiori di campo macerati. Il tannino è saldo, ma composto. La freschezza tiene a bada l’alcol. (93/100)

Amarone della Valpolicella 2019 Le Guaite di Noemi. Nelle precedenti edizioni, i vini di Noemi Pizzighella erano concentrati e densi, e dunque lontani dal mio gusto. Questa volta il calice è illuminato da uno splendente color ciliegia, prodromo di un cambio di rotta verso una proposizione più delicata. Il vino non è ancora in vendita, dunque ci sta che il legno debba fondersi, ma in fatto di personalità è un Amarone che promette molto bene. (90+/100)

Amarone della Valpolicella 2019 Il Monte Caro. Ecco un’azienda fuori dal mio radar, nel senso che non ne so quasi nulla. Il vino mi è piaciuto già dal colore, che definirei quasi borgognone, e dunque snello e luminoso. Il quadro aromatico del vino è dominato dalle spezie, sottili e austere, mentre dal lato tattile porge una sapidità misurata, che raffresca il sorso e lo rende assai gastronomico. Un Amarone da bere subito, con piacere. (90/100)

Amarone della Valpolicella Ruvaln 2019 Adalia. Chi non fosse mai entrato in un fruttaio di appassimento delle uve della Valpolicella, qui ne ritrova, immacolati, i profumi avvolgenti. Adalia appartiene alla micro galassia che fa capo a Marinella Camerani e più nello specifico, in questo caso, alla figlia Federica. Se dovessi dare un premio al colore, sarebbe per questo vino: un rubino smagliante, che invita alla beva gioiosa. (88+/100)