La moda del vino concentrato è finita

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“Ho sempre pensato che la moda dei vini concentrati non sarebbe durata”. Non lo dico io, anche se l’ho detto da sempre. La frase è di Philippe Castéja. Di mestiere fa il négociant a Bordeaux. Dicono sia tra i primi tre in assoluto. Uno che di vino, insomma, ne compra e ne vende un sacco. E ne produce pure, e mica di poco conto, visto che la famigglia ha in proprietà gli château Haut-Bages Monpelou, Batailley e Lynch-Moussas a Pauillac, Beau-Site a Saint-Esthèpe, Trotte Vieille a Saint-Émilion, La Croix du Casse e domaine de L’Église Pomerol.
La critica in passato ha un po’ snobbato i suoi vini, perché non rispondevano alle regole della muscolosità e della super concentrazione. Ebbene, alla Revue du Vin de France ha (finalmente) potuto dire questo: “Ho sempre pensato che la moda dei vini troppo concentrati, così come quella dei vini super legnosi, non sarebbe durata. Al giorno d’oggi, le deviazioni aromatiche e le evoluzioni premature osservate su questi vini con l’invecchiamento dovrebbero far ricredere i loro vinificatori dall’aver scelto certe opzioni. Elaborare dei grandi vini significa difendere uno stile”.
E quando la redazione della rivista francese gli chiede quale sia la sua definizione dei vini di Bordeaux, risponde così: “Chi beve un vino di Bordeaux deve pensare tra sé: ‘È veramente buono’. Progettare il vino, quella è un’altra cosa. Io credo alla tipicità. È importante poter raccontare le caratteristiche di ciascuna proprietà. Amo i vini che offrono freschezza, frutto, struttura ed equilibrio. L’equilibrio conta, è questo che dona la trama e la longevità del vino. Apprezzo i vini concentrati, ma non amo i vini troppo coperti, marcati dalla surmaturazione”.
Parole sante. E mica solo per Bordeaux.
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