A Wine Paris ho avuto la fortuna di partecipare a quella dal titolo “Hermitage: selezione parcellare o assemblaggio?” A metterla insieme è stata La Revue du Vin de France, che ne ha affidato la conduzione a Pierre Villa Palleja.
Agli appassionati di vino francese non ho bisogno di spiegare nulla. Hermitage è diventata una denominazione tra le più ricercate e costose. I suoi vini hanno raggiunto quotazioni da capogiro e sono in ogni caso molto difficili da reperire, anche disponendo di un cospicuo conto bancario. Per chi invece ha poca familiarità con l’argomento, ricordo che siamo nella parte nord della vallata del Rodano, quella che comprende per capirci Côte-Rôtie, Cornas e Condrieu, tra le altre. Le vigne coprono 137 ettari su uno sperone principalmente granitico che sorge del tutto imprevisto a lato del fiume. Vista la situazione geografica, non è possibile immaginare una estensione della superficie vitata, da cui la rarità dei vini. Se la maggior parte degli appassionati ne conosce i rossi, prodotti dalla sola syrah, non vanno sottovalutati i bianchi, ottenuti da marsanne e roussanne. La loro longevità è notevole, e questo nonostante la bassa acidità, a dimostrare che non sempre le cose sono così lineari, ci possono essere altri fattori a determinare la vita di un vino.
Come si evince dal titolo, la degustazione voleva tentare di capire se i migliori Hermitage sono figli di una selezione parcellare (una sola vigna) o dell’assemblaggio di più vigne, per andare a cercare la complementarità delle componenti. Mi spiace spoilerare fin da subito il risultato. Io non sono arrivato a nessuna conclusione, forse la scelta dei vini non era adatta a capire la questione, o semplicemente non c’è risposta perché dipende sempre da tutta una serie di scelte sia in vigna che in cantina, ed è forse lo stile del produttore a determinare la maggiore o minore statura di un vino. Certo però che l’emblema del vino di assemblaggio è “un certo” Chave, che ha brillato di luce propria in questa degustazione. Forse qualcosa vorrà dire.
Bianchi
Delas Frères, Hermitage Marquis de la Tourette 2010. Colore paglierino carico. Percezione di affinamento in legno nuovo molto evidente per le note di vaniglia, spezie e rovere. Il palato è imponente, salino, alcolico con un finale di sale e mandorla. La sensazione salina in verità arriva fin da subito e non lascia tranquilli un attimo. Poi ci sono miele (tipico), i fiori passiti. Finale di grande persistenza, leggermente amarognolo, ricorda la pasticceria, il miele, i fiori e il burro, la frutta confit. Sicuramente figlio di un periodo nel quale si cercava la concentrazione, il tempo lo ha affinato e reso più abbordabile. Non è il mio stile di vino, ma non posso fare a meno di dire che l’affinamento in legno è stato condotto con una mano felice, ed il risultato è esemplare. Non avrei mai detto che mi sarebbe piaciuto un vino così, ma è successo. (92/100)
Paul Jaboulet Aîné, Hermitage Le Chevalier de Sterimberg 2011. Colore più brillante con riflessi verdolini. Si ha l’impressione di un vino più nervoso, poi arriva una nota invadente di fiammifero, una certa riduzione. Si fa fatica a trovare qualcosa di attraente. L’impatto del legno è qui meno evidente e come risultato si ha una struttura più fine ma meno esplosiva. È delicato ma anche stretto e manca un po’ di struttura. Nel calice in verità ha un cenno di riscatto e sembra migliorare. Fa pensare a un bianco bordolese per certi versi. Tra l’esotico e lo speziato, finisce con la frutta acidula e una impressione di durezza, forse data dai solfiti. (86/100)
M. Chapoutier, Ermitage de l’Orée 2012. Colore dorato. Ha un naso decisamente espressivo. Su tutto la sensazione minerale e di miele, un legno raffinato e gestito con delicatezza. Ha dimensione ed energia, molto puro e al tempo stesso comunicativo. Fiori, mandorla, pietra focaia e clorofilla conducono ad un finale di frutta secca e sale, con una sensazione netta di tannino. Un bianco travestito da rosso. Potente. (96/100)
Jean-Louis Chave, Hermitage 2012. Colore carico con riflessi verdi evidenti. Ricorda quello di Delas ma con meno carica. Anche qui il legno c’è, eccome, ma di grande qualità. Sembra un vino ancora troppo giovane, specie al naso. Limone confit, spezie, frutta secca. Se il naso va cercato, al palato ha una classe enorme, poche volte ho sentito un vino con questa energia. Ha lunghezza, complessità, personalità. Un turbinio di sensazioni che vanno dallo speziato agli arumi, passando per l’argilla, lo zenzero, il sale. Tanto sale, che diventa umami. Vino che oscilla tra dolcezza e tensione. Sicuramente il bianco più fine. Ha pochissima acidità e questo è uno dei suoi paradossi. Buono oggi e credo per almeno altri venti anni o più. Chave si conferma un maestro nell’arte dell’assemblaggio. (99/100)
Marc Sorel, Hermitage Les Rocoules 2017. Colore intenso. Camomilla, miele e spezie, l’impressione è quella di un vino più vecchio di quelli che lo precedono. Probabilmente è per l’aspetto ossidativo che potrebbe arrivare dalla roussanne. Alcolico, potente, largo, ha note di gesso, albicocca matura, paglia e argilla. Ricco e godurioso, anche questo non ha grande acidità ma compensa con una struttura quasi barocca. Non ha pesantezza nonostante la dimensione imponente. (91/100)
Rossi
Cave de Tain, Hermitage Gambert de Loche 2011. Colore denso, naso di gomma e affumicato. L’impressione è tendente al varietale: liquirizia, cacao, poi note più ferruginose e di fegato, cenere fredda. Nonostante la reputazione del millesimo, sembra un vino sfocato. (84/100)
Tardieu-Laurent, Hermitage 2006. Annata calda nel Rodano. Colore rubino, classici aromi di pepe bianco, lardo, cioccolato (segno di maturità), pietra calda. Palato marcato dalla barrique nuova tipica delle vinificazioni di Dominique Laurent. Incenso, nota medicinale, tante spezie, tapenade, rosmarino e menta. Ha una buona acidità nel finale che conferisce freschezza. Il tannino è potente ed asciuga il palato, sicuramente con un cibo adatto si troverà un giusto equilibrio. C’è una certa eleganza, finale di incenso. (90/100)
Delas Frères, Hermitage Les Bessards 2010. Colore molto giovanile, sembra un vino di un paio di anni. Naso minerale e austero, non semplice da affrontare. Forse un pizzico di legno di troppo, anche se pare di qualità. La sensazione legnosa conduce ad un finale asciugante che potrebbe essere migliore. Globalmente è molto giovane, ha potenziale. Occupa tutto il palato ed ha densità senza perdere in finezza. Finale minerale di asfalto. Si salva perché sembra avere una eleganza interiore che attenua i cenni più monolitici del suo carattere. Forse il tempo gli renderà giustizia. Vino autunnale da cacciagione. (91/100)
Paul Jaboulet-Aîné, Hermitage la Chapelle 2011. Vino mitico che per alcuni anni ha perso molto del suo carattere originario. C’è dietro molto impegno per farlo ritornare agli antichi fasti, l’impressione è che sia il terroir ad uscire ed imporsi, nonostante il lavoro di cantina non sia ancora del tutto a punto. C’è molta nobiltà nel naso, tra classicismo e modernità. È complesso, minerale e fine, senza che il legno occupi troppo spazio. La Chapelle si rivela solo nel tempo, oggi è ancora austero e tannico, con cenni di liquirizia, menta, erbe e un legno di qualità. Comincia a sentirsi il terroir, con le tipiche note di tartufo, terra, pietra. Fresco e con un tannino deciso, quasi intimidante. Ha eleganza, ma ha bisogno di almeno altri venti anni per farsi amare fino in fondo. (94/100)
M. Chapoutier, Ermitage Le Pavillon 2011. Il colore è leggermente evoluto. Anche gli aromi tradiscono un cenno di evoluzione e vanno verso le note animali, di resina, di tartufo bianco, lardo affumicato. Su tutto una forte impressione minerale. Lungo e di grande classe, il palato ha molta freschezza e ci fa capire che è appena all’alba della sua carriera. La sensazione è di un Hermitage aperto e più cordiale degli altri, finisce su cenni di menta e cioccolato, mantenendo una invidiabile eleganza. È il più fine tra i rossi, con una bella nota di arancio a prolungare le sensazioni più fresche. (96/100)
Come avete visto, è difficile trarre delle conclusioni e anche il relatore in realtà non ha saputo o voluto esprimersi in modo chiaro sul tema della degustazione. Se tra i bianchi ha dominato il bianco di assemblaggio di Chave, tra i rossi si è segnalato il vino parcellare di Chapoutier, mentre i vini di assemblaggio hanno un po’ patito i vini concorrenti.