Aglianico, grande vitigno del Sud

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Nel corso di una masterclass, ho voluto presentare a un pubblico di appassionati una selezione di aglianico da vari territori del sud Italia. L’idea era quella di cercare di capire se ci sono elementi in comune tra le varie denominazioni, ed eventualmente quali sono le differenze tra di loro. A mio avviso, che l’aglianico sia, assieme al nerello mascalese, la più interessante varietà del sud Italia, è abbastanza dimostrato. Con questo intendo dire è un’uva che riesce a dare risultati di alto livello su un numero elevato di etichette e in tutte le zone in cui viene prodotto. Non che altre varietà non conducano a grandi vini, solo che spesso sono pochissimi vini, frutto di vignaioli visionari, più che un patrimonio condiviso da una intera denominazione. Ci sono ovviamente spazi di crescita, ma per semplificare io la penso così.

I vini hanno potenza e alcol, oltre che tannini e acidità. Con l’età il vino perde la sua rusticità iniziale e si fa più raffinato, pur mantenendo una decisa potenza. Gli aromi vanno dai fiori, alle spezie, dalla liquirizia alle ciliegie sotto spirito, per finire con i fichi secchi, il cuoio, la terra e il sottobosco.

Vediamo come sono andati i vini della degustazione, che illustro in ordine di servizio.

Casebianche, Cilento Aglianico Cupersito 2017. Ancora nella fase iniziale della sua vita, potente e caldo. Naso bello e pulito, terra, fiori caldi, nota minerale e frutta rossa. I tannini sono presenti, maturi e fitti, acidità che spinge, ha una discreta lunghezza e un finale di tabacco, menta secca, e frutta sotto spirito. Balsamico e sapido. (90/100)

Viticoltori Lenza, Colli di Salerno Aglianico Massaro 2018. Ha una impronta piuttosto moderna, vinificato in solo acciaio. Senza solfiti aggiunti. Al naso tabacco dolce, rosa passita e frutta matura. Note poi di cenere che conducono a un palato tannico e austero. L’incedere è quasi frenato nella prima parte, mentre il finale è più espressivo. Probabilmente è in una fase evolutiva complicata e va atteso qualche tempo, anche perché sembra avere un buon potenziale. Lungo. (88/100)

Luigi Maffini, Cilento Aglianico Siopè 2016. Un tentativo di coniugare tradizione con modernità per l’uso della barrique francese. Ne risulta un vino dal carattere internazionale, connotato, a mio avviso, da una certa rigidità, indotta dall’apporto tannico. (82/100)

San Salvatore, Paestum Aglianico Omaggio a Gillo Dorfles 2014. Altro vino che punta sulla grande concentrazione del frutto e su una lunga vinificazione in legno francese. Mi pare che il legno tenda a coprire il vino. L’impressione è quella di un vino che potrebbe però migliorare nel tempo. Spezie e tabacco, ha struttura e lunghezza. Non è il mio vino ma indubbiamente è fatto molto bene. Ha anche una nota marina di buona eleganza. (87/100)

Telaro, Roccamonfina Rosso Calivierno 2018. Ancora un vino in bilico tra moderno e tradizionale. Spezie, piccoli frutti, nota dolce di tabacco. Palato che sembra molto lavorato, lisciato e morbido. Il tannino non deborda. Non ha una grande freschezza, ma il legno è usato con rispetto. (86/100)

I Cacciagalli, Aglianico Roccamonfina Phos 2018. Azienda biodinamica che lavora con lieviti indigeni e poca solforosa. Vinificazione in anfore smaltate e lunghe macerazioni. Suoli vulcanici sabbioso-calcarei ai piedi del vulcano spento di Roccamonfina. Come si può immaginare, il vino ha un profilo diverso dai precedenti, più aperto, con sentori tra il vegetale, le spezie dolci, la cenere, l’incenso e la grafite. Delle note affumicate nonostante non ci sia legno. Palato tra i più fini, delicato. Il vino ha però bisogno di respirare e di distendersi, oggi non mi pare ancora del tutto compiuto, anche se sembra avere un ottimo futuro. Vibrante e vivo, con finale di fiori e spezie. (91/100)

Fontanavecchia, Aglianico del Taburno Vigna Cataratte Riserva 2015. Colore brillante, naso di frutta macerata nell’alcol, spezie (pepe nero e ginepro) e il balsamico del legno (affinamento in barriques). Purtroppo, a mio avviso il legno è eccessivo e non rende il miglior servizio al vino. (84/100)

Tenuta San Francesco, Costa d’Amalfi Tramonti Rosso Riserva 4 Spine 2010. Cantina di fondamentale importanza per il recupero di viti prefillossere e di veneranda età, alcune fino a trecento anni; sono da vedere. Suolo calcareo e di pomice. Vendemmia tra fine ottobre e inizio novembre. Affinamento di ventiqauttro mesi in botti da 25 ettolitri. Si annuncia con un colore ancora scuro e un naso che è virato totalmente verso il minerale. Spezie, cenere, distillato di mirtilli, erbe aromatiche. Compatto e con un tannino giusto, vivo e con una acidità ancora presente. Lungo, con un finale di sigaro, fiori secchi e un aspetto crepuscolare di indubbio fascino. In magnum. (92/100)

D’Angelo, Aglianico del Vulture Caselle 2015. L’azienda ha lanciato l’Aglianico del Vulture nel mondo. Il Caselle è uno dei riferimenti assoluti non solo per il Vulture ma per tutto il Sud. Vendemmia dopo metà ottobre, affinamento di ventiquatro mesi in cemento e altrettanti mesi in botti grandi. Austero e classico, è molto minerale, al limite dello scontroso; ricorda inpòtre il ciclamino, l’inchiostro, la frutta secca, le castagne. Si ricompone nel finale ma ha bisogno di almeno altri sette-otto anni di cantina per trovare il giusto equilibrio. Scommetto che allora sarà tutt’altra cosa. (89+/100)

Grifalco, Aglianico del Vulture Damaschito 2016. Vigne di settanta anni della zona di Maschito, classicamente mecerato a lungo e affinato in botti grandi di Slavonia. Una sensazione di purezza, note di tamarindo, frutta matura, spezie. Equilibrato e con tannini che si risvegliano nel finale, togliendo forse un po’ di spazio al frutto. Bella potenza, sensazione di purezza e sapidità nel lungo finale. Vino che è ancora all’inizio di carriera. (89+/100)

Elena Fucci, Aglianico del Vulture Titolo by Amphora 2018. Viene affinato diciotto mesi in anfore di terracotta da 700 litri non trattate. Gli acini sono quasi interi e macerano per poco meno di due settimane. Vino fuori schema, particolare sin dal colore molto leggero. Naso di frutta fresca, fiori, polvere da sparo, aperto e leggiadro. Sensazioni confermate al palato, dove il vino scorre elegante, lungo e luminoso, con un tannino leggero e dolce. (93/100)

Cantine del Notaio, Aglianico del Vulture Il Repertorio 2019. Colore nero e profondo, vino macerato e complesso. Frutto maturo, quasi da uva passa, senza però diventare pesante. Ingresso massiccio, sviluppo dinamico e finale di pepe nero, melograno, menta secca, carrube, frutta stramatura, fichi. Un lato molto tradizionale che ha il suo fascino e la sua piena ragione di esistere. Solido, balsamico e tannico. (90/100)

Musto Carmelitano, Aglianico del Vulture Riserva etichetta bianca 2015. Azienda che lavora in biodinamica senza alcun prodotto enologico. Questa è la selezione delle migliori uve di tutti i vigneti e viene prodotta solo alcuni anni. Affinamento in solo cemento. Un vino bellissimo, elegante e delicato, quasi fragile. Poi arriva il tannino a ricordaci che parliamo di aglianico. Ancora un vino che deve trovare la forma migliore, molto giovane e bisognoso di affinamento. Una delle bottiglie con il migliore potenziale, complesso e minerale, ha energia e finisce floreale. Ha un lato affascinante e quasi enigmatico che non saprei in che modo definire. (93/100)

Tenuta Cavalier Pepe, Taurasi Opera Mia 2014. Vino classico e che resta nel solco dei vini di Taurasi, andando ad accentuare i caratteri più solidi e ricchi di questa denominazione. Ha molto frutto, un palato rotondo e un tannino equilibrato. Termina minerale con aromi di grafite e fumo. Buona la lunghezza. (90/100)

Torricino, Taurasi Cevotiempo 2017.  Un vino che cerca il frutto maturo, rotondo e alcolico. Potente e dolce, ha un finale di cacao amaro con un tannino ben scandito. Non esagera nella potenza e ha una parte minerale. (88/100)

Contrade di Taurasi, Taurasi Vigne d’Alto 2012. Interessante versione tradizionale. Vino barocco ed evoluto, ha un lato molto attraente. Frutta sotto spirito, sottobosco, mirtillo, cacao, alcol e tannino bilanciati. Bello il confronto con i vini più moderni. (90/100)

Boccella, Taurasi Sant’Eustachio 2009. Azienda a tendenza naturale. Un Taurasi equilibrato che si caratterizza per le particolari note salmastre di iodio. Balsamico, ricorda il cacao, i mirtilli, la menta, la grafite e la liquirizia. Lungo e continuo, ha un tannino perfettamente dosato. Tra modernità e tradizione, respira il terroir. Tra i migliori della batteria. (93/100)

Antonio Caggiano, Taurasi Vigna Macchia dei Goti 2015. Ancora un Taurasi a cavallo tra classicismo e modernità. Sicuramente tradizionali le note di frutta sotto spirito, cacao e il tannino deciso. Più moderno l’uso del legno piccolo, che conferisce note di incenso e di fumo, in un insieme speziato e fruttato, raffinato e floreale. Termina su odori di terra bagnata e affumicato. Grande vino nel suo genere. (92/100)

Salvatore Molettieri, Taurasi Vigna Cinque Querce 2014. Ottenuto in parte da vigne prefillosseriche, è un vino assurto quasi a simbolo del Taurasi. Le attese sono pienamente confermate, si tratta di un Aglianico intenso e profondo, minerale, con aromi di terra, thé nero, fumo, tartufo. Altrettanto solido l’incedere del palato, per nulla eccessivo nonostante l’evidente potenza. Una bottiglia di gran classe, moderno per la pulizia ma assolutamente tradizionale nel trascrivere il terroir da cui proviene. Complimenti.  (94/100)

Casebianche, PaestumAglianico Rosato Frizzante Il Fric 2019. Come provocazione, ho chiuso con un pet-nat da uve aglianico che ha permesso di ripulire il palato dalle scorie tanniche dei vini precedenti. Un frizzante divertente e bevibilissimo che conserva l’impronta dell’uva con cui è prodotto, ma da una prospettiva diversa e giocosa. Consiglio di provarlo, potrebbe dare dipendenza! (90/100)

Una sintesi non è semplice. Emergono due territori d’eccellenza che come da copione sono Taurasi e il Vulture. Le versioni più estratte e moderne sono sembrate un po’ più ingessate e talvolta dominate da un tannino di difficile gestione. Interessante notare come qualcuno stia cercando nuove strade per l’aglianico, cercando di produrre vini meno duri e di più facile beva, senza sacrificare la complessità e la territorialità. Non è scritto da nessuna parte che i vini debbano per forza essere alcolici, scuri e tannici. Si può lavorare più in leggerezza e giocando con diversi tipi di legno, anfore o vasche di cemento. L’importante è dare una identità chiara al proprio vino, e in molti ci sono riusciti.