Eccolo qua il nuovo Prosecco brasiliano, fatto da gente di origine veneta, con uva veneta, in una città che è un omaggio a un capoluogo veneto, elaborato secondo il metodo veneto dopo aver imparato a spumantizzare in cantine venete.
In etichetta è scritto proprio così: Prosecco. A produrlo, con la glera, esattamente l’uva che si adopera nel nostro Nord Est per fare il Prosecco, è la Boscato Vinhos Finos che è una delle aziende vinicole più note del Brasile, e il cognome Boscato è tipicamente veneto (non ho approfondito, ma mi sembra plausibile che la famiglia venga dalla regione). La sede è a Nova Padua, nel Rio Grande do Sul, e il nome è un omaggio a Padova e ricorda le famiglie venete (guarda caso) che colonizzarono la zona nella seconda metà dell’Ottocento. Siccome la glera c’era nei vigneti di uno dei fornitori della cantina, l’enologo Clóvis Boscato ha pensato di trarci un Prosecco.
“Poiché non ne avevo quella conoscenza che ritengo fondamentale per lo sviluppo di un prodotto di alto livello all’interno di questo segmento – dice l’enologo -, sono andato in Italia per specializzarmi. Ho trascorso un periodo nella regione di Treviso e Verona, culla di questo vino in Italia. Da lì ho seguito l’intero processo, dalla vendemmia alle corrette tecniche di elaborazione del prodotto. Sulla via del ritorno ho presentato l’idea alla mia squadra e oggi abbiamo il nostro Prosecco”.
Il racconto lo leggo in un articolo di Andréia Debon sul web magazine brasiliano Bon Vivant: “Boscato Vinhos apresenta Prosecco elaborado com técnicas italianas“. Ovviamente il vino non mi è capitato di assaggiarlo, ma la guida d Bon Vivant gli ha tributato 91 centesimi di valutazione, che è un bel punteggio.
La domanda che può venir fuori è: ma si può chiamare Prosecco un vino fatto in Brasile? Se la denominazione di origine italiana non è riconosciuta ufficialmente dal Governo brasiliano, nulla lo vieta. Tant’è che qualche mese fa il presidente dell’Unione italiana Vini, Ernesto Abbona, sollecitava i commissari europei al Commercio e all’Agricoltura ad assumere iniziative che consentisero di “evitare una escalation di azioni volte a usurpare e utilizzare il nome della denominazione di origine italiana in Brasile e Argentina che causerebbe un ingente danno economico e di immagine ai produttori italiani in quei Paesi e in altri mercati internazionali”.
Eccoci qui, e poi c’è chi sostiene che le denominazioni di origine non hanno valore.
zeno bortolaso
Ho letto di recente un articolo al riguardo su winemag.