Quando Remy Chauvet, il responsable de cave del Domaine de la Mordorée, a Tavel, mi ha chiesto quale tra le vecchie annate mi sarebbe piaciuto riassaggiare, non ho avuto dubbi e ho detto: “La 2005, perché la ricordo splendida”. Così dalla cantina ha portato fuori una bottiglia del Tavel 2005 e l’ha aperta e, sì, era splendida come la ricordavo. Bellissimo colore, tra il granato e l’aranciato, e poi le spezie a manciate che intridono un frutto ancora succoso, e la mandorla sottilmente amara e lo scatto acido grintoso che mi piace in quei vini. Ecco, un esempio straordinario di come sappia invecchiare benissimo il vino rosa “di territorio”, perché il disciplinare del Tavel prevede solo ed esclusivamente il rosé, da sempre, ed è un rosé che trasuda appartenenza territoriale, come dev’essere un vero, grande vino rosa.
D’accordo, a fare vino si fa fatica ovunque. La terra è bassa, si usa dire. Da quelle parti si fa una fatica bestia. Li avete visti i suoli che hanno? Pieni, strapieni già in superficie di quei sassi che chiamano galet e che sono stati allisciati dal Rodano chissà quando e che a passarci sopra col trattore è una tortura, col mezzo che ti sballotta a destra e a sinistra e ti si spacca la schiena. E poi il caldo, il gran caldo. Ci sono stato d’agosto e il termometro era sopra ai quaranta. Pietrame e calura. Il troppo caldo non fa male solo alla gente. Ne soffre la vigna, perché manca acqua, e ne può soffrire il vino, perché c’è meno acidità e c’è troppo zucchero e dunque potenzialmente troppo alcol. “Con questo caldo l’importante è lavorare bene il suolo” sottolinea Chauvet. Insomma, lavorare e lavorare. Perché “non c’è magia senza lavoro”, come diceva Christophe Delorme, il patron del Domaine, scomparso, poco più che cinquantenne, nel 2015. Visitando le vigne ne ho capito il senso.
Il Domaine de la Mordorée oggi ha una una sessantina di ettari e in tutto fa 250 mila bottiglie, che sono poche per tutta quella terra (e si badi, qui si imbottiglia tutta la produzione). Undici ettari sono a Tavel, tre e mezzo a Châteauneuf-du-Pape, ventisei a Lirac, il resto sotto l’appellation della Côtes du Rhône. Io adoro i loro Tavel, e ne fanno tre, il “base” e le due cuvée “di punta” – La Dame Rousse e La Reine de Bois – che sono sempre ai miei vertici del “mio” mondo rosa. Ne parlo qui di seguito.
Tavel La Dame Rousse 2018 Domaine de la Mordorée. Il rosa comincia ad accendersi. Uno dei miei vini rosé preferiti, annata dopo annata. Mi si conferma ancora una volta molto buono. Croccantissimo di frutto, piacere puro. (90/100)
Tavel La Reine de Bois 2018 Domaine de la Mordorée. Accidenti, stavolta è La Reine de Bois che mi lascia a bocca aperta. Ha la tonalità del karkadè, e anche quell’amarena agrumata e asprigna che lo ricorda. Spezie. Tensione. Grande. (92/100)