Adesso come lo spiego questo Carricante?

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Adesso come lo spiego che il vino che intendo recensire è un carricante siciliano fatto da un enologo che sostiene che il suo primo amore è il sangiovese toscano? Un bianco di un innamorato dei rossi è difficile da spiegare. Il fatto è che Carlo Ferrini, dopo anni di peregrinazioni in lungo e in largo per l’Italia a vinificare per gli altri (il che equivale a dire che girovagava per fare vini incensati dalla critica internazionale), s’è lasciato conquistare da certe vecchie vigne ad alberello che seguitano a fruttificare da decenni sull’Etna, fra i settecento e i novecento metri d’altitudine, e là convivono con gli ulivi e le piante da frutto (e chi non ha mai mangiato un frutto raccolto direttamente dall’albero sull’Etna non capisce che cosa sia la frutta) e così ha deciso di vinificare quel catarratto per conto suo. “Andando in Sicilia per seguire alcune aziende – dice -, mi sono innamorato sempre di più dell’Etna. È nato un secondo amore“. Posso capirlo, anche se insisto continuamente nell’obiettare che non mi piace che si parli d’amore quando si ragiona di vini e di vigne, perché i sentimenti sono da rivolgere alle persone, non ai luoghi o alle cose. Ma a un enologo è concesso che provi un moto d’animo verso il proprio lavoro.

Dagli alberelli di carricante cinquantenni infissi nella terra del vulcano, Ferrini ci ha tirato fuori uno di quei vini bianchi che piacciono a me, affilati come una lama di coltello molata da poco, salati come quando esci dall’acqua di mare e il vento fa brillare microscopici cristalli di sale sulla pelle, aspri e aromatici come un limone appena colto nel frutteto. Lui quest’indole tutta nervo e dinamismo la giustifica parlando del contributo dell’altitudine, di un’esposizione verso nord e di una terra di pietra pomice, che sono tutti elementi ideali per averne vini bianchi che possiedano, insieme, una struttura compatta e quell’indole fresca e iodata che si usa riassumere con la definizione della mineralità. “Lo faccio in acciaio per studiarlo, per cercare di capirlo. Se lo mettessi nel legno non lo potrei più studiare” spiega, e benedico questa scelta. Ne fa uscire un vino avvolgente e tesissimo, luminoso e caratteriale, sapido e sulfureo. Poi, si fa trascinare dalla foga: “Quando si va sull’Etna e si cammina sulla lava, c’è questo scricchiolio sotto ai piedi e ci sono queste piante di cinquant’anni che sono delle sculture, con questi grappolini. Fa in fretta a nascere una passione pazzesca”. Ci risiamo con l’innamoramento, ma l’assolvo di nuovo, mentre mi godo il vino. Anzi, gli concedo l’indulgenza plenaria, se continua a mettere in bottiglia il vulcano in forma liquida di vino, come ha fatto in quest’annata del 2021.

Terre Siciliane Carricante Alberelli di Giodo 2021 Giodo
(94/100)

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