Se il 15 giugno calasse la scure sul vino

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Ho l’impressione che non si sia prestata sufficiente attenzione all’allarme lanciato nei giorni scorsi da un consistente parterre di organismi rappresentativi del vino riguardo all’ipotesi – direi la concretezza – del progressivo venir meno del sostegno europeo alla promozione del settore vinicolo. “La strategia Farm to fork e le pressioni della Direzione Generale Salute di Bruxelles condizionano le prossime politiche di Promozione Agricola della Commissione Europea” hanno denunciato Alleanza delle Cooperative italiane, Assoenologi, Cia-Agricotori Italiani, Confagricoltura, Copagri, Federdoc, Federvini e Unione Italiana Vini (Uiv) in una lettera che hanno indirizzato al commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, e al ministro italiano delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli.

Un passo indietro. Che cos’è la strategia Farm to fork? Si tratta del piano decennale che sta al centro del Green Deal europeo, che mira a trasformare il sistema del cibo in una realtà più sana e sostenibile, obiettivo che ovviamente sta a cuore di tutti. Nel percorso di applicazione, si prefigge di coinvolgere, in ogni singolo dettaglio, tutta la filiera del cibo, dalla produzione agricola sino alla distribuzione, il che è nuovamente positivo. Tra gli obiettivi della strategia c’è anche la promozione del consumo di cibi sostenibili, favorendo la transizione verso abitudini alimentari più sane. Di nuovo applausi. Il dubbio è se all’interno dell’Europa ci sia chi a questo particolare obiettivo stia dando un’interpretazione equilibrata o meno.

C’è come la sensazione, infatti, che ci sia chi punta il dito acrimoniosamente contro due sole tipologie di prodotto, la carne e gli alcolici, e quando dico alcolici intendo tutto quanto si beva e che contenga dell’alcol, vino compreso. L’atteggiamento, per certi versi, è comprensibile, stanti i problemi correlati al consumo di alcolici. Ma un conto è intervenire con gli opportuni correttivi sui consumi distorti, un conto è assumere toni ideologicamente proibizionistici. “Ci risulta – sta scritto nella lettera di cui ho dato cenno – che il documento di lavoro per la prossima annualità potrebbe prevedere un’ulteriore penalizzazione per i prodotti a indicazione geografica (Dop/Igp) e al contempo stia valutando l’esclusione dai programmi promozionali di alcuni prodotti particolarmente sensibili per la produzione agroalimentare italiana, come il vino e le carni”. Da quel che ho annusato in queste settimane, mi pare che la stretta sia già in corso. Quando sapremo se si accentuerà? Fra poco, pochissimo, probabilmente già il 15 giugno, quando la Commissione europea dovrebbe adottare il prossimo programma annuale della promozione. Se il vino venisse azzoppato, potrebbe trattarsi di un colpo letale, in tempi difficili come sono gli attuali.

Di solito, in casi del genere, si scatena la caccia al colpevole. Così come alcuni puntano il dito contro il vino, la tentazione di chi il vino lo fa potrebbe essere quella di alzare i toni verso gli avversari salutisti. Non condivido la scelta di tirare in ballo i concetti di colpa e di giustizia, di bontà e cattiveria, perché sono giudizi che hanno a che fare con l’etica (men che meno tollero l’idea degli amici e dei nemici, perché è fautrice di guerre), mentre la politica è l’arte della responsabilità e del possibile.

Dunque, vediamo chi abbia delle responsabilità dell’essere arrivati a questa svolta potenzialmente discriminatoria, ma se facciamo una valutazione serena, temo che dobbiamo ammettere che una buona dose di involontaria responsabilità ce l’abbia chi fa vino e chi ne ha la rappresentanza. Nella rincorsa alla promozione del vino, infatti, l’abbiamo troppo spesso considerato alla stregua di una qualunque merce, disconnettendolo dai suoi veri elementi culturali, spesso enunciati con motti stantii, raramente valorizzati in maniera fattiva.

Soprattutto, si è smarrita l’essenza stessa del vino, che appartiene alla tavola e al convivio, e convivio è una parola bellissima perché origina del vivere insieme, dalla socializzazione, e il ruolo del cibo e del vino è anche questo, favorire la convivenza familiare, la condivisione fraterna. Condividere il cibo e nutrirsi sono azioni diverse. Mi nutro per senso di sopravvivenza, e il senso di sopravvivenza è spesso contiguo all’egoismo. Condivido il cibo per senso di fratellanza, e questo ha a che fare con la vita sociale delle persone, vi si riverbera e favorisce la convivenza pacifica. È l’ideale della condivisione e della convivenza che può trasformare le menti e le prassi, che può portare a produrre un cibo più sano e più giusto, che sia nutrimento del corpo e delle menti. Pensare di arrivarci stringendo le mani alla gola è una strada che porta al conflitto. Non abbiamo bisogno di conflitti.

Ma per favore, non abbiamo nemmeno bisogno di presentare il vino come una pozione salvifica. Smettiamola con certi stupidi slogan sul vino che fa bene. Anzi, smettiamola proprio con gli slogan, perché l’estremizzazione di un concetto non compiutamente vero porta ad estremizzare la posizione avversa, magari altrettanto parziale. Lo slogan appartiene al marketing e alla comunicazione, mentre abbiamo tutti bisogno di cultura, e la cultura appartiene all’umanità. Ecco qui il nodo, ho l’impressione che certe posizione estreme abbiano disumanizzato il cibo ed il vino, a prescindere da chi sia che le ha estremizzate. La spirale potrebbe perversamente acuirsi, nel caso del vino, già il prossimo 15 di giugno.