Vino e sostenibilità, alleanza tra Scandinavia e Québec

vino_rosso_400

Nell’agosto di tre anni fa scrivevo che, volenti o nolenti, le aziende del vino avrebbero dovuto convertirsi all’idea di sostenibilità, pena l’espulsione dal mercato. Ora è arrivata una nuova conferma della necessità di cambiamento, per chi non abbia ancora provveduto. Sul finire di agosto la Saq, il potentissimo monopolio del Québec, ha aderito al documento di sostenibilità dei monopoli scandinavi – ossia lo svedese Systembolaget, il norvegese Vinmonopolet, il finlandese Alko, con il corollario dell’agenzia islandese e di quella delle isole Fær Øer -, che mira a ridurre drasticamente l’impatto diretto e indiretto del commercio del vino sull’ambiente, a partire dai metodi di selezione dei vini messi a catalogo. L’obiettivo dichiarato è quello di incoraggiare soluzioni sostenibili per il vino a tutti i livelli, dal packaging all’attività viticola, fino alla miglior coerenza sociale dell’attività agricola e delle condizioni di lavoro del personale. Evviva, questa è una spallata piuttosto salutare per tutto il settore.

Ho l’impressione che l’alleanza scandinavo-québécoise, già ora condizionante per un vasto numero di esportatori, non si fermerà qui. Marie-Hélène Lagacé, vicepresidente della Saq, ha già lanciato un invito agli altri monopoli nordamericani a unirsi alla cordata. I also invite our Canadian and American peers to join us. Together, we have the duty and the power to collaborate to do more” ha dichiarato. Together we can do more at a higher speed“, insieme possiamo farcela più rapidamente, le ha fatto eco, via LinkedIn, Sara Norell, responsabile degli acquisti del Systembolage. Se il movimento finirà per coinvolgere tutti i monopoli canadesi, non ho dubbi che si estenderà poi gradualmente verso gli Stati Uniti, e del resto anche il solo Québec è molto influente su alcuni mercati statunitensi, come quello della Florida, dove svernano molti ricchi imprenditori del Canada, che portano con sé le proprie preferenze di acquisto.

Per continuare a vendere vino in Scandinavia e nel Québec serve dotarsi di una o più certificazioni di sostenibilità agricola o sociale. Quelle in uso in Italia accettate dagli scandinavi e ora dai canadesi sono in primo luogo quella biologica, e poi quella di Equalitas, la società fondata da Federdoc e Unione Italiana Vini proprio per determinare uno standard certificabile di sostenibilità del vino, e ancora la Sqnpi, acronimo che indica il Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata, ossia il protocollo della lotta integrata in agricoltura. Va bene anche lo standard di emanazione tedesca Fair’n Green, in uso, che io sappia, da parte di qualche azienda altoatesina. Inoltre, sono accolte la certificazione Demeter per i vini biodinamici e la Fair for Life per il commercio equo e solidale (di cui sin qui non ho però visto il marchietto su bottiglie di vino, ma mica so tutto, io). Semaforo verde anche per gli standard del Fairtrade, che presuppongono il rispetto di una serie di criteri economici, ambientali e sociali da parte dell’impresa, e per il programma Viva, lo standard pubblico italiano per la misurazione e il miglioramento delle prestazioni di sostenibilità della filiera vitivinicola. Gli altri protocolli indicati dal progetto dei monopoli nordeuropei e nordamericani non mi pare abbiano applicazione qui da noi.

Insomma, le chance a disposizione sono parecchie, e dunque l’adeguamento non richiede interventi da capogiro; per questo mi stupisce che ci sia ancora chi presume di poter vendere tranquillamente il proprio vino in giro per il mondo senza uno straccio di certificazione. Ovvio, però, che per avere una certificazione fra le molte disponibili bisogna comunque adeguare i propri modi di lavoro in campagna e in cantina, nonché le proprie relazioni con i dipendenti (ovviamente anche occasionali), con i fornitori e con le comunità locali. Bisogna concentrarsi sulla sostenibilità sociale dell’attività imprenditoriale, come del resro sarebbe logico che accadesse, anche senza bisogno di spinte esterne. Solo che adesso il gioco si fa molto serio, con il nord del mondo che il cambiamento lo vuole davvero. Pertanto – ripeto -, volenti o nolenti tocca diventare più sostenibili. Come volevasi dimostrare.