“Togliere. Non più mettere”. Penso anch’io che questa sia la via del vino. Ovviamente togliendo senza spogliare.
“Togliere. Non più mettere” me l’ha detto Andrea Fiorini Carbognin quando gli ho chiesto della sua Garganuda, un Soave, beatamente, felicemente in tappo a vite, che sta destando parecchio interesse, pur essendo progetto di recentissimo avvio. Ovvio che ha destato anche il mio, d’interesse, ché sennò mica sarei qui a scriverne.
Ci tiene, Carbognin, a dire che il suo rapporto con la vigna risale a quand’era piccolo, negli anni Settanta, e già guidava il trattore lungo il filare, mentre, dietro, la famiglia vendemmiava. Ma dal vino, dal Soave – lui viene da quelle terre – si è in seguito un po’ allontanato. Perché ha cominciato a porsi delle domande. Soprattutto sul perché troppi Soave “base” gli sembrassero tutti uguali. “Mi allontanai – mi dice – alla ricerca di qualcosa che poteva ancora legami ai miei luoghi con originalità e non con convenzionalità”.
Poi ecco l’incontro con Stefano Menti, che ora è un “amico fraterno nonché vinificatore di Garganuda”.
“Conoscendo le creazioni di Stefano – racconta – mi si è aperto un mondo nuovo, che le mie precedenti strade mi avevano, in un modo o nell’altro, tenuto sconosciuto. Ed è stato proprio bevendo un suo vino, il Paiele 2011, che iniziò balenarmi per la testa un Soave privo di orpelli, un Soave di ritorno alle origini, un Soave solo uva, un Soave che fosse fuori dalle convenzioni gustative, un Soave da interpretazione personale e non enologica. Una garganega nuda. Garganuda”.
Dunque, Carbognin prende accordi con lo zio, attuale proprietario dei terreni di famiglia, e nel 2014 inizia la conversione biologica di un vigneto piantato dal nonno più di quarant’anni fa a Montecchia di Crosara, versante nord-est della vallata d’Alpone, sottosuolo vulcanico basaltico.
Via il diserbo, via il concime e potature corte. Nel vigneto di Garganuda si usano solo prodotti di copertura insieme a vari tipi di tisane, si utilizzano preparati biodinamici, si fa inerbimento. Lieviti indigeni per la fermentazione.
Voleva fare un vino che – spiega – “rappresentasse la mia idea di Soave”. “Non mi piacciono le dolcezze e men che meno le alcolicità, soprattutto quando vengono riprodotte dall’enologo”, aggiunge. “Mi piacerebbe portare, per lo meno con le mie idee, il vino al passato, quando ancora significava convivialità e festa, e non ricchi premi e cotillon dove è finito oggi”.
Il vino?
Il vino me lo sono goduto. Trasuda di frutto maturo della garganega soavese. Mela, tracce officinali, sapidità, vene sulfuree, bella tensione.
Soave Garganuda 2015 Andrea Fiorini Carbognin
(88/100)
Giorgio
Veramente buono👍🏼