È uscita una nuova guida del vino e di colpo tutte le altre sono diventate vecchie. D’accordo, alcune erano già vecchiotte prima, ma adesso lo sono di più. La nuova guida è Slow Wine ed è talmente nuova che ha seppellito (anche) la vecchia Slow Wine. Faccio mio quel che ha detto ai curatori della guida, che sono Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, l’ex direttore della Stampa e di Repubblica, Mario Calabresi, intervenuto alla presentazione milanese di Slow Wine 2021: “Vi do una brutta notizia, non potete più tornare indietro”. Sono d’accordo, questo è un punto di non ritorno, e non lo è solo per Slow Wine, perché invece secondo me “rischia” di esserlo per il settore delle guide italiane del vino, che ritengo dovranno ripensarsi. Il che è uno stimolo positivo. Positivo per chi le scrive e positivo per chi le legge, intendo.
Che cosa è successo a Slow Wine per farmi azzardare a dire quel che ho detto? Sono successe tre cose.
La prima è che è stata (finalmente) ripensata la modalità di elencazione dei vini – come dire – “premiati”. Giancarlo e Fabio lo sanno che io sono sempre stato tra quelli che non sopportavano la presenza della categoria dei “grandi vini” su Slow Wine. La trovavo assurda, perché per me un “grande vino” è quello che esprime, insieme, la propria identità territoriale e la maniera che il vignaiolo ha di interpretare tale unicità. Dunque, perché un “vino quotidiano” non può essere “grande”? Ecco, da quest’anno i “grandi vini” sulla guida non ci sono più. Per ogni regione c’è una lista dei “top wine”, che contiene, tutti insieme, “i vini che ci sono piaciuti di più” (definizione di Giavedoni), i “vini quotidiani”, che sono i migliori tra quelli che in enoteca si possono comprare sotto ai 12 euro a bottiglia, e i “vini Slow”, che sono quelli ritenuti meglio rispondenti alla “filosofia” di Slow Food. Piacere, quotidianità e senso di appartenenza li considero i tre concetti che rendono un vino “top”, e non c’è motivo di distinguerli in graduatorie a sé stanti. Se un vino è “buono” è “buono”, e basta, e tra i vini “buoni” mi può far piacere di sapere quale è più accessibile economicamente e quale è più coerente con un certo modo di pensare, che io lo condivida o meno, quel modo di pensare.
La seconda novità è che nelle schede delle singole cantine recensite c’è un QR code. Il QR code porta a un video, e il video è quello di un’intervista fatta on line al vignaiolo da un collaboratore della guida. La scelta di fare le video interviste l’ha imposta il lockdown, ma adesso i novecentoquaranta video raggiungibili tramite i QR code di Slow Wine rappresentano, come ha detto Gariglio, “un grande affresco del momento che abbiamo vissuto” perché si tratta di “dialoghi” con i produttori, e in un dialogo salta fuori il modo d’esere delle persone, e questo modo d’essere io lo ritengo parte integrante dell’idea stessa di terroir. Temo per lo staff di Slow Wine che la scelta dei video sia irreversibile. Concordo ancora con Calabresi: “Prima in cantina ci andavate voi, adesso possiamo andarci tutti”. Questa è una netta discontinuità. Prima dovevo fidarci ciecamente di quel che scrivevano le guide, adesso posso sentire anche la voce di chi fa il vino. Non è mica un salto da poco, per Slow Wine e per chi fa le guide.
Il terzo cambiamento è che Slow Wine “torna” alla “politica”, la politica del “buono pulito e giusto” di Slow Food. Ricordo perfettamente quando Slow Food organizzò Vigneron d’Europe a Montpellier, nel 2007, e allora me ne feci in qualche modo anch’io “sollecitatore”. Fu un’occasione di dialogo totalmente inedita tra vignaioli europei. Nel 2009, a Firenze, quell’incontro sfociò in un Manifesto dei Vigneron d’Europe. Poi c’è stata una lunga stasi, del manifesto si è parlato poco o nulla. Adesso Slow Wine si accinge a “riprendere l’eredità del Manifesto dei Vigneron d’Europe”, come ha dichiarato Gariglio, annunciando che “sarà un punto di partenza per un lavoro di rafforzamento della figura del vignaiolo”. Se Slow Wine riesce in quest’impresa, allora la discontinuità sarà davvero netta. Comunque la si pensi a proposito del contenuti del nuovo “manifesto”.
Laura Pero Coutandin
Le prime due firme sul registro di Vigneron d’Europe a Montpellier, nel 2007,…… Sono le nostre !!!!!!!!
Angelo Peretti
Bene! Quell’iniziativa ha fatto storia.