Samuele Bianchi fa vino in Toscana, e capisco che, detta così, l’affermazione faccia pensare ai filari di cipressi del Chianti Classico o della Maremma. Invece no, invece lui fa vino da un’altra parte della Toscana, a San Macario in Monte, poco lontano dalla pur bellissima Lucca. La sua azienda si chiama Il Calamaio e la vigna è condotta secondo i canoni della sostenibilità, in bio. Un paio di anni fa ebbi modo di bere il suo Sangiovese del 2014, quello che in etichetta ha il nome della Poiana, il rapace, e mi piacque per via di quell’indole terragna che ci trovai, rimpiangendo perfino di non averlo atteso più a lungo. Ora Samuele m’ha fatto avere (lo ringrazio) il Poiana di due altre vendemmie, ossia la 2017, che è in commercio, e la 2019, che si sta ancora affinando nel legno da dieci quintali (prima di quest’annata si usavano fusti da cinque quintali).
Del sangiovese conosco due distinti tratti caratteriali. Uno tende più al frutto, l’altro alla terrosità. Bene, queste due annate che ho avuto nel calice le possiedono entrambe, però antiteticamente. Il che mi piace che possa e che debba accadere, perché a stagioni diverse non possono che corrispondere espressività differenti, e se la diversità della vendemmia non trova riscontro nei vini, be’, allora è inutile parlare di cose come la territorialità e l’identità, non vi pare? Ecco, in questo caso il rispetto c’è tutto.
Mi avvalgo, nel descrivere i vini, di quanto mi ha scritto Samuele. “La 2017 – mi ha detto – è frutto di una annata calda che abbiamo cercato di interpretare al meglio per preservare freschezza, acidità e tannino, ad esempio non facendo sfogliatura e cimatura durante l’estate, in modo da avere una parete fogliare in grado di far resistere le piante senza stress a un’estate a tratti torrida”. Io ci ho trovato un’austerità consistente e un carattere spinto verso la terra e la spezia. Se fosse una fotografia, sarebbe in bianco e nero, ma con i bianchi dell’acidità e i neri dei sentori terziari molto rilevati ed esposti.
“La 2019 – mi ha raccontato – è figlia di una buona annata equilibrata e molto produttiva”, così si è dovuto interpretarla togliendo uva in alcuni vigneti, mentre in altri hanno lasciato su i frutti, per conservare tutta l’acidità possibile. Qui ci ho trovato l’altro verso della personalità del sangiovese, ossia il frutto, succoso, e il fiore. Un’annata più luminosa. Facendo il paragone di prima, questa sarebbe una fotografia a colori, magari con le pellicole Kodac di una volta, che esaltavano il tono del rosso.
Quale delle due annate ho preferito? Salomonicamente dico tutt’e due, ma per motivi opposti. Sono infatti – l’ho già osservato e lo ribadisco – come due lati della stessa medaglia. Entrambi, ad ogni modo, esprimono ottimo potenziale, in termini di longevità, e te ne accorgi e te ne fai convinto perché si aprono con insistita lentezza nel calice, tant’è che già per il 2014 avevo consigliato il decanter, e rinnovo l’invito anche per questa coppia di millesimi. Tutti e due hanno dalla loro, inoltre, una connaturata serietà d’approccio. Intendo che sono da bere con sorso posato, meditato e attento, e se li avvicini in questa maniera ti regalano copiosamente la loro autenticità contadina. Insisto, questo Poiana è un rosso molto, molto interessante.
Toscana Sangiovese Poiana 2017 Il Calamaio
(89/100)
Toscana Sangiovese Poiana 2019 Il Calamaio
(89/100)