Pico 2020, ecco i tre cru

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Tra le varie espressioni di garganega offerte dalla Biancara, senza considerare le versioni più o meno dotate di zuccheri residui, possiamo contare da una parte sul Sassaia, più immediato e lineare, ma capace di evolvere magnificamente anche per quindici o venti anni, dall’altra sul Pico.

Il Pico è sempre stata un po’ una palestra dove Angiolino Maule si è esercitato ad esplorare la plasticità della garganega. Negli anni il Pico è continuamente cambiato, una variabilità che credo contribuisca in gran parte al fascino di questo vino. Lo stesso Angiolino è spesso severo con alcune sue annate, le stesse che magari a me sono piaciute moltissimo, ma sappiamo che è un perfezionista alla continua ricerca di qualcosa che in realtà non raggiungerà. Perché, come si dice, il bello sta nel viaggio e non nella mèta.

Le uve del Pico provengono dai vigneti più alti e più ricchi di minerali: si tratta ovviamente di garganega in purezza fermentata coi soli lieviti spontanei ed affinata in botti da quindici ettolitri per circa un anno. Quando possibile viene prodotta una piccola parte separando i tre cru che lo compongono: Faldeo, Monte di Mezzo e Taibane. I cru vengono confezionati in cartoni che contengono due bottiglie per ogni vigneto, permettendo così di confrontare le sfumature di ciascun vino, che non sono nemmeno tanto piccole. Se c’erano dubbi, il terroir conta.

Vediamo come è andato l’assaggio dell’annata 2020, ancora molto giovane ma promettente.

Monte di Mezzo. Naso totalmente minerale, note di zolfo, agrumi, buccia d’arancio. È austero, il più verticale dei tre, quello che richiede più attenzione e disponibilità all’ascolto. Anche alla beva conserva questo lato oscuro e intimistico, finisce su aromi di pera e con tanto sale. Poco appariscente ma non è detto che non sia quello destinato a una più radiosa evoluzione. (90+/100)

Faldeo. Se il precedente era austero, questo è scorbutico. Ha sempre un andamento verticale, ma predomina un carattere umorale, viscerale e non proprio semplice. Accanto le note di mandorla e frutta matura. Al palato ha maggiore struttura, inizia largo e poi arriva l’acidità ai bordi della bocca. Potente e fine al tempo stesso, conserva molto freschezza e la parte acida lo porta ad allungarsi. Finale di frutta secca. (88/100)

Taibane. Vino più colorato e che comunica calore, sembra più sudista che nordico. La nota si fa esotica e matura, ricordando il melone e l’ananas, seguiti da resina, menta e bergamotto, tutte sensazioni che lo rendono quasi tagliente, andando a riequilibrare l’aspetto più morbido e maturo. Coi minuti si fa quasi barocco nel suo proporre una girandola di aromi come l’arancia candita, il dattero, il chiodo di garofano e le spezie dolci. Oggi è quello più pronto. (91/100)