In giugno una piccola-grande rivoluzione è avvenuta nell’apparentemente immobile galassia dei vini di Bordeaux. Il potente Conseil Interprofessionnel du Vin de Bordeaux (CIVB) ha deciso di autorizzare a titolo sperimentale l’introduzione di vitigni ibridi allo scopo di contrastare il cambiamento climatico.
Le notizie sono quindi due.
In primis si ammette che un cambiamento climatico è in corso. Non è scontato, vista la divisione netta tra chi al riscaldamento terreste crede e chi invece afferma trattarsi solamente di una fase passeggera come tante altre.
La seconda notizia è quella che il consorzio, passatemi il termine, crede che la strada dei vitigni ibridi o innovativi che dir si voglia, sia una delle ipotesi più accreditate per contrastare l’evidente cambiamento che si registra tra le vigne.
Bernard Farge, presidente del CIVB, ha dichiarato che le conseguenze del riscaldamento climatico hanno reso necessario testare i vitigni ibridi più resistenti.
Tra le uve che più soffrono di questi cambiamenti c’è sicuramente il merlot, largamente diffuso nella regione. Vitigno molto precoce, il merlot rischia di non avere la maturazione necessaria pur sviluppando delle gradazioni alcoliche molto consistenti. Sarà l’INRA, l’Institut National de la Recherche Agronomique a condurre la sperimentazione tra i filari bordolesi. La ricerca avrà una durata probabile di otto anni.
Da appassionato dei vini di Bordeaux, specie di quelli vecchi, sono sconcertato dalla decisione. Non sono di sicuro un conservatore, ma non posso fare a meno di chiedermi se la strada degli ibridi sia quella giusta.
Non sarebbe forse il caso di provare prima a lavorare diversamente in vigna, tornando a rese meno basse, a concentrazioni meno estreme, a sistemi di potatura e di gestione del fogliame più protettivi nei confronti dei grappoli?
Io, prima di arrivare ad una modifica radicale di un vino così ricco di storia, mi sarei aspettato delle riflessioni totalmente diverse e più orientate alla gestione della pianta. Non mancano certamente né i mezzi finanziari, né quelli tecnici per agire da subito, aspettando che il tempo ci dica come andranno le cose nel medio periodo.
Non vorrei che si buttasse via il bambino con l’acqua sporca.
1 comment
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emanuele
e ci risiamo.. il nuovo fa paura..
ma senza novità non c\’è evoluzione.. tutto sta nell\’usare il giusto discernimento su ciò che è positivo e ciò che non lo è..
la tradizione non è altro che un evoluzione ben riuscita , portata avanti, fino a diventare quello che noi chiamiamo tradizione. .
Quelli che erroneamente vengono chiamati ibridi in realtà sono reincroci di terza , quarta generaioine con vite europea che fannno in modo che questi contengano nel DNA il 99% di sangue europeo.
La resitenza alle malattie in tutte le specie è la via per consentire una agricoltura ecocompatibile e questo in particolare in viticoltura dove si arrivano a fare un numero esagerato di trattamenti : Ricordo che mediamente negli ultimi anni sebbene la vite occupi solamente il 3,3% della superfice coltivata utilizzi il 65% dei fungicidi commercializzati in un anno pari a 68.000 tonellate !!! Al di la dei residui che ci sono nel vino, e ci sono, pensiamo all\’impatto ambientale .. Stiamo un pò meglio nelle coltivazioni biologiche .. ma anche qui si usa il rame che proprio acqua fresca non è essendo un metallo pesante .. Quindi apriamo le porte alla ricerca , incentiviamo il lavoro d incrocio per avere varietà resistenti magari molto simili al merlot o al cabernet (forse meglio forse peggio ) ma sicuramente più salubri
cordialmente
emanuele