In questa calda, caldissima estate non si fa fatica ad abbracciare la tesi del riscaldamento globale. Forse però, da buoni italiani, ci siamo già dimenticati della terribile estate del 2014. Io sono tra quelli che si stanno molto preoccupando per i cambiamenti climatici. Alla fine gli effetti nel medio periodo sono chiari, ci stiamo riscaldando con un ritmo insostenibile. Somm Journal ha ospitato un interessante articolo di Becca Yeamans-Irwin, che normalmente trovate nel suo interessante blog The Academic Wino. L’articolo è molto… articolato e qui lo voglio sintetizzare per non causarvi troppa noia.
Si parte dalla constatazione che dall’inizio del XX secolo la temperatura media si è alzata di 1,4° C, due terzi dei quali registrati dal 1960 in poi. Sorte simile per i livelli di CO2 nell’atmosfera. Le previsioni scientifiche dicono che si riscalderanno di più le terre emerse e i Paesi più a nord.
La cosa più grave, in termini di ricadute sulla viticoltura, sembra sia la diminuzione dell’escursione termica notturna, che come tutti sappiamo apporta notevoli benefici agli aromi dell’uva. Alcune varietà di viti non saranno più in grado di sopravvivere a certe latitudini, o comunque i vini che da queste si producono saranno molto diversi.
Sappiamo che la vite può crescere in una fascia geografica relativamente limitata e con temperature comprese tra 12 e 22° C di media. Alcune varietà gradiscono climi più freddi, altre amano zone più calde. Tutte sono sensibili anche a piccole variazioni. Si cita l’esempio emblematico del pinot nero, la cui finestra di maturazione varia tra i 14 e i 16° C. Non è che non cresca in climi più caldi. Sono i vini che ne derivano che non sono buoni, almeno secondo i canoni oggi largamente accettati. Terribile notizia: la Borgogna potrebbe non essere più adatta a produrre grandi pinot neri, stessa sorte per la Champagne.
Se qualcuno piange, c’è sempre qualcun altro che ride. Ad esempio se la ridono gli inglesi, i cui vini non sono mai stati così numerosi e così buoni. Altre regioni oggi considerate totalmente inadatte potrebbero iniziare a deliziarci con grandi vini nel prossimo futuro.
Negli Usa, invece, se il trend continua, si perderebbero circa l’80% delle terre adatte alla vite, con una riduzione della metà in Napa Valley ad esempio.
Altri fattori da considerare sono quelli dei livelli dei mari e oceani e della quantità delle precipitazioni. Lo scioglimento dei ghiacci e il conseguente innalzamento dei mari hanno anche l’effetto di modificare le correnti oceaniche che a loro volta influenzano pesantemente il clima. Pensate a cosa succederà a Bordeaux in caso di aumento del livello dei mari. Oltre alla perdita di terreni ci sarà la salinizzazione di quelli a ridosso della costa. Stesso scenario in Nuova Zelanda o in Portogallo, per citare solo due casi.
I cambiamenti climatici si notano già, con siccità in alcune zone e aumenti di pioggia in altri. Gli effetti di tutto ciò si riflettono sulla fisiologia della pianta. I tempi della fioritura e tutte le altre tappe fino alla vendemmia sono diversi. I viticoltori si trovano spesso in difficoltà a gestire questa nuova complessità. I tempi di maturazione si accorciano e le bacche non hanno il tempo necessario per sviluppare tutti i loro componenti. Ricordiamo i rossi del 2003, ricchi di alcol ma paradossalmente immaturi e “verdi”.
L’autrice poi tratta anche gli effetti del cambiamento sulle malattie della vigna. Anche gli insetti e le altre fonti di malattia prosperano a ben precisi climi. Gli operatori dovranno sapersi adattare e capire come cambiano di conseguenza i predatori.
Se credete di averne avuto abbastanza, vi sbagliate. Un altro effetto indesiderato del clima riguarda la produzione di legno destinato alla realizzazione delle botti e delle barrique. È stato dimostrato che gli alti livelli di CO2 hanno causato una accelerazione nella crescita delle piante. Ebbene, i vasi del tronco che trasportano i nutrienti si stanno sempre più allargando. La conseguenza è che molte plance si rompono o crepano durante la lavorazione, e poi la traspirazione della botte è maggiore. Anche il livello dei tannini si abbassa.
Guardando al futuro con (relativa) speranza, non mancano soluzioni alla portata di tutti. Il fattore umano sarà ancora una volta fondamentale. La sensibilità dei produttori potrà compiere il piccolo miracolo che serve per preservare l’identità di ogni zona vinicola.
Le scelte a più ampio spettro saranno molto più complicate, pensiamo all’introduzione di nuovi vitigni ibridi o a cambiamenti nella composizione dei vitigni ammessi per ogni denominazione.
Serviranno soldi e progetti, e sappiamo che in Italia non sempre i fondi vengono spesi con oculatezza, per usare un eufemismo.
Personalmente credo che il rischio maggiore lo possano subire i produttori europei, più legati a tradizioni consolidate. Da noi si “vende” il terroir, più che il vitigno, come invece accade nei Paesi più innovativi. Saremo capaci di apportare le necessarie modifiche mantenendo intatto il profilo dei nostri vini? Ma forse anche i nuovi arrivati avranno problemi a produrre certe varietà internazionali che godono di ottimo mercato. Pensiamo a syrah, chardonnay, merlot ecc.
Nel dubbio, e senza dare troppo nell’occhio, cerchiamo di metterci in cantina qualche cassa dei nostri vini preferiti da aprire nei prossimi e caldissimi anni.