Basta lagne, è da decenni che si beve meno vino

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Una delle peggiori tentazioni umane, è quella di dare la colpa agli altri per le proprie responsabilità. Lo fanno anche i politici perdenti, che se la prendono con gli elettori che non li hanno votati, invece di cercare di capire il perché dell’insuccesso. Ugualmente, di tanto in tanto sento qualche produttore di vino ripetere la stantia tiritera che si berrebbe meno perché ci sono norme troppo restrittive sulle patenti, perché si demonizza il vino, perché si pretenderebbero gli allarmi in etichetta, perché ci sarebbero le cattivissime lobby anti alcol e altre amenità complottiste del genere, che sono comode da tirare in ballo per lavarsi la coscienza, senza andare al nocciolo della questione, ossia capire i veri motivi per cui la gente beve sempre meno vino.

Per fortuna, al mondo c’è gente come il critico, strategist e produttore britannico Robert Joseph, che quando affronta un problema interpreta in numeri, ci ragiona sopra e sconvolge i luoghi comuni. Così, anche per la questione delle lagne del mondo del vino circa il calo dei consumi ha sparigliato il tavolo. In un articolo scritto per la rivista Meininger’s International, ha pubblicato il grafico dei consumi di vino in Francia dal 1950 al 2015. La Francia è un osservatorio interessante perché nel gennaio del 1991 venne promulgata la cosiddetta loi Évin, dal nome del ministro della salute Claude Évin, relativa “à la lutte contre le tabagisme et l’alcoolisme”. Quella legge introdusse pesantissime restrizioni anche sulla pubblicità e sulla promozione del vino; restrizioni tuttora in atto, che a detta di qualcuno sarebbero la causa del calo dei consumi transalpini di vino. Ebbene, l’influenza della legge fu quasi nulla, giacché la decrescita, piuttosto netta, aveva già preso il via da quarant’anni, ed è semplicemente continuata. Anzi, addirittura un decennio dopo vi fu un lieve rimbalzo verso l’alto, per poi riprendere la curva discendente. È peraltro interessante notare che, mentre il vino è crollato, la birra e i superalcolici non hanno patito una sostanziale flessione. Dunque, non c’è l’abbandono degli alcolici, ma c’è quello del vino, e solo di quello.

La conclusione la tira lo stesso Robert Joseph: “Dobbiamo smetterla di essere ossessionati da Claude Évin e dal burocrati dell’Organizzazione mondiale della sanità e cominciare a prestare più attenzione a creare una relazione più stretta con la gente che vuol bere il liquido che produciamo. E per far questo, dobbiamo smettere di fare marketing generico del ‘vino’, che è una vasta e confusa categoria che include tanti stili che i nostri consumatori di riferimento non trovano attrattivi”.

Se non si sono mai visti i grandi nomi dei distillati promuovere genericamente i ‘distillati’ – riflette Joseph -, perché mai i produttori di vino dovrebbero promuovere genericamente il ‘vino’? Smettiamola di parlare di ‘vino’. Ci sono tanti vini, molto diversi uno dall’altro. Piuttosto,”abbiamo bisogno di costruire dei brand, e siccome questo è il modo in cui abbiamo abituato la gente a comprare il vino, dobbiamo costruire delle regioni del vino che costituiscano dei brand“, dice, e ha perfettamente ragione. Così pure ha ragione quando ricorda che per l’affermazione dei brand ‘regionali’ o ‘distrettuali’ o ‘territoriali’ – chiamateli un po’ come volete – servono soldi, tanti soldi, e servono alti profili di marketing e serve, soprattutto, la volontà di farlo davvero, il marketing. Ora, io non voglio passare per disfattista, ma questa volontà non mi pare che ci sia. Nel senso che troppo spesso, nel mondo del vino, ciascuno vuol promuovere il proprio orticello, qualunque sia la dimensione dell’orticello. Tanto poi si può sempre provare a dar la colpa a qualcun altro. Finché c’è qualcun altro cui dare la colpa.