Quella tecnica vinicola che in francese viene definita del baie-par-baie consiste nel tagliare con la forbicina gli acini, uno per uno, da ogni singolo grappolo, lasciandogli attaccato appena un po’ di pedicello, in modo tale da innescare la fermentazione in quasi totale assenza di raspi e anche di ossidazioni, per cercare di portare in bottiglia l’essenza del frutto della vigna. Dico quasi, perché, in realtà, sul fondo del mastello si mette dell’uva diraspata e di seguito il baie-par-baie e infine qualche grappolino intero.
Si tratta di un’operazione dispendiosa. Ovvio che la puoi praticare solo su quantità molto piccole d’uva, altrimenti il costo di manodopera sarebbe gigantesco e i tempi spaventosi, e in effetti anche Elisa Mazzavillani, quando ha voluto sperimentare questa modalità di vinificazione, nel 2021, l’ha applicata alla vendemmia di un piccolissimo appezzamento di soli duemila metri di vigna romagnola di sangiovese. Il risultato di quel primo esperimento non ho avuto modo di berlo, ma quello del 2022 sì, e mi sono goduto, in tal modo, un bellissimo vino rosso, di una purezza fruttata che mi ha lasciato incredulo. Intendo dire che ha dei rimandi precisi ai frutti rossi quando sono appena spiccati dall’albero, tiepidini, in un giorno luminoso di sole (sapete tutti, presumo, che non c’è paragone tra la frutta mangiata dall’albero e quella che si acquista sulle bancarelle). Mi spingo perfino a dire che è fra la decina di vini rossi italiani più appaganti dell’ultima manciata d’anni, e insieme al cibo, poi, ci stava con nonchalance.
L’uva è tutta e solo di sangiovese, e tuttavia non ritrovo, nel vino, quel tono un po’ terroso che hanno così spesso i vini fatti col sangiovese in terra romagnola o anche chiantigiana, prerogativa, questa della terrosità, che non mi dispiace affatto – sia chiaro -, ma ne sottolineo, stavolta, l’assenza per ribadire che questa è un’intepretazione “altra” della varietà, con dei richiami di eleganza che, per intenderci, si potrebbero dire borgognoni.
Il vino si chiama Fiore dei Calanchi. I calanchi sono il risultato delle erosione che si formano sui terreni argillosi, nello specifico quelli della zona di Castrocaro Terme. Le bottiglie prodotte sono giusto quelle che provengono da un tonneau, meno di settecento. Il costo è di trentotto euro a bottiglia. Se riuscite, procuratevene una. Vi consiglio, poi, di berla presto, non già perché il vino non abbia il potenziale di invecchiare – ce l’ha -, bensì per godervene quel frutto così puro. A me, di solito, piacciono i vini che abbiano fatto qualche anno di bottiglia, e meglio ancora se gli anni sono parecchi, con alcune eccezioni. Una, guarda caso, è per i Borgogna di Maranges o di Santenay, di Savigny-lès-Beaune e soprattutto di Volnay; l’altra, adesso, è per questo rosso romagnolo.
Romagna Castrocaro Sangiovese Fiore dei Calanchi 2022 Marta Valpiani
(96/100)