Adesso tutti si mettono a fare rosé

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Ecco, noi italiani quando abbiamo a che fare col vino siamo così, ci riempiamo la bocca di parole come territorio e terroir e poi però non riusciamo a sottrarci al fascino delle mode di consumo. Dunque, quando andava il bianco carta, tutti a fare il bianco carta. Quando andava il novello, tutti a fare novello. Quando andava la barrique, tutti a usare la barrique. Poi tutti a fare bollicine. Tutti a provare le macerazioni sui bianchi. Ora tutti a fare rosé. Così come abbiamo prodotto dei bianchi ridicoli, dei novelli disgustosi, dei rossi da falegname, ora eccoci alle bolle improbabili, agli orange che non sanno parlare e ai rosati senza arte né parte. E, attenzione, la malattia tocca tutti, gli industriali e anche i piccoli vignaioli, perfino nel mondo del “naturale”.
Io non so cosa sia che ci spinge ad agire così. Posso capire i grandi marchi industriali, ma i piccoli produttori che sanno fare bottiglie di qualità nelle loro terre? Qual è la motivazione di questo nostro produrre per imitazione? Avidità? Voglia di tirar su quattro soldi in fretta? Oppure l’ambizione di cimentare in campi nuovi per dimostrare che quella cosa lì la si sa fare? Ma che senso ha?
La scusa più puerile, soprattutto da parte di certi piccoli produttori, è quella del “completamento di gamma”. Dicono proprio così: “Ho fatto il rosè, lo spumante, il sur lie, il passito per il completamento di gamma”. Come fossero multinazionali che sfornano commodity industriali.
Mi sa che non diventeremo mai adulti.

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