A Vinitaly ho capito che non ci abbiamo capito niente

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La mia sintesi dell’edizione 2025 di Vinitaly assomiglia a quel “so di non sapere” che viene attribuito al filosofo greco antico Socrate. Nel mio caso, la sentenza, adattata, è “ho capito di non aver capito”, che si potrebbe forse estendere a un più generale “quasi tutto quello che ci siamo detti fino ad adesso nel mondo del vino è, probabilmente, sbagliato“.

Per esempio, continuiamo a ripeterci che i giovani non sono interessati al vino, però al fuori salone pre fiera di Vinitaly and the City, che è frequentato soprattutto dai trentenni, sono stati venduti più di 50 mila tagliandi di degustazione, lo stesso numero del 2024, ma con una giornata di evento in meno. In più, le sere delle date del Vinitaly le vie e le piazze su cui si affacciano i locali che hanno organizzato intrattentimenti erano pressoché intransitabili per il numero enorme di giovani che ci stazionavano davanti col calice in mano: per dire, da via Mazzini non si passava di fronte a Signorvino (spettacolare la “Maledetta primavera” cantata a gran voce da centinaia di ragazze e di ragazzi), idem in corso Portoni Borsari davanti all’Osteria del Bugiardo, in via rosa di fronte al Caffè Monte Baldo, in vicolo Scudo di Francia dove c’è l’Antica Bottega del Vino. Insomma, il vino ai giovani sembra proprio che piaccia. Semmai non gli piace il modo stantio in cui spesso viene proposto.

Abbiamo creduto che la gente ormai abbia voglia solo di bollicine e di vini bianchi freschi e leggeri, ma i vini bianchi freschi e leggeri non mi pare che vadano poi così bene, e anzi tra i corridoi più frequentati di Vinitaly c’erano quelli delle aree presidiate dagli stand dei produttori dell’Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia, i cui vini bianchi tutto sono meno che leggeri, dato che le gradazioni alcoliche sono spesso intorno ai 14 gradi e anche oltre. Lo stesso Lugana, che continua a volare nelle vendite, è spesso intorno ai 14 gradi. Il che mi fa pensare che non è il livello dell’alcol a tenere la gente lontana dal vino o ad avvicinarla, ma è semmai l’immagine che certi vini portano con sé, e oggi i vini rossi, in particolare, danno quasi tutti un’idea di elitario o di vecchio o di entrambe le cose; così pure sono considerati osboleti alcuni vini bianchi che, pur essendo leggeri, non hanno saputo darsi una precisa identità, e anzi hanno fatto il possibile e l’impossibile per confondere le idee.

Ci siamo anche detti e ridetti che il modello tradizionale delle fiere è costoso e superato. Però a Vinitaly ho visto molti grandi gruppi del vino e alcuni dei consorzi maggiori investire come non succedeva da almeno una quindicina di anni in nuovi allestimenti e nuove grafiche. Gli espositori, poi, restano costantemente intorno ai quattromila, e fra i quattromila sono tornati a esporre anche alcuni produttori noti del mondo variamente “naturale”, e questo nonostante il continuo pullulare, nel Veronese e dintorni, di eventi “naturali” organizzati nelle stesse date del Vinitaly (stavolta erano una decina); che poi, per inciso, tutte queste manifestazioni “off” sono una conferma indiretta della centralità del Vinitaly, perché mica si farebbero a Verona e in zone prossime al capoluogo veronese senza che ci fosse la fiera, coi suoi 97 mila visitatori, qualcuno dei quali un salto anche alle rassegne locali lo fa. Piuttosto, sono mancati un po’ i ristoratori, presi dalle incombenze della prossimità della Pasqua e del riavvio della stagione turistica, senza che riescano a trovare personale; ma questa è tutta un’altra storia, e il loro è davvero un modello di business da rivedere.

Ho letto, poi, nell’ultimo paio di mesi, che secono alcuni ormai Parigi e il suo Wine Paris sono diventati l’unico polo d’attrazione dei buyer internazionali e che infatti questo sarebbe il motivo per cui il ProWein tedesco ha deluso, eppure a Verona sono arrivati 32 mila operatori stranieri da centotrenta paesi, e tutti e due questi dati, ossia numero dei buyer e delle nazioni di provenienza, è in aumento rispetto al 2024, nonostante le crisi economiche, politiche, commerciali e militari che ci sono in giro per il pianeta. Il che dimostra, a mio avviso, che fuori dall’Italia il vino italiano e la sua fiera, diversa da tutte le altre proprio perché prettamente italiana, hanno una fortissima attrattività, ben superiore a quella che noi italiani pensiamo possa avere. Anzi, se noi italiani la smettessimo di mostrarci divisi e rissosi, sempre pronti a fare mille distinguo e a farci del male con le nostre mani, avremmo una forza ancora maggiore, e grazie a quella forza non temeremmo alcuna congiuntura. Anche questa è una di quelle cose che non abbiamo capito del tutto, e poco mostrano di averla capita certi politici e certe figure istituzionali, coi loro discorsi privi di visione strategica. Però che capiscano loro è davvero una pretesa impossibile.