La nobiltà della corvina

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Nell’aprile del 2015, dopo aver assaggiato i primi vini di Corte Scaletta, azienda che sta a Marcellise, nella cosiddetta Valpolicella allargata, scrivevo che è nata una stella. Otto anni dopo sono qui a scrivere che la stella è brillante più che mai, perché bisogna essere terribilmente bravi per fare un Valpolicella come il loro 2020, che è attualmente in commercio. L’ho bevuto due volte ed entrambe mi ha impressionato per la sua grazia sottile e al contempo serissima, che trascende dalle fruttuosità del vino giovane, com’è spesso interpretato quel che rimane del valpolicellino travolto dal successo dei rossi da appassimento; ne trascende, intendo, e le supera, in virtù di una finezza di matrice antica, come raramente mi capita di ritrovare. Mi fa pensare, nell’impostazione, a certi Valpolicella degli anni Cinquanta e Sessanta che ho avuto la fortuna di rintracciare e che ho stappato in questi ultimi anni, così diversi dal modernismo di molti rossi attuali, così pacati e nobili direi. Infatti, l’indole delle uve valpolicelliste, e della corvina soprattutto, emerge non già nella ciliegia, come si è abituati adesso, bensì in certi toni agrumati e nel sale, che ne costituiscono l’imprinting originario, andato smarrito a causa di certe forzature agronomiche e di cantina che si sono affermate negli anni; inoltre, è identitaria quella delicatezza di spezie che accompagna il sorso. Forse, a rivitalizzare quest’impronta è la modalità di affinamento che hanno deciso di adottare i Cavedini dal 2019, ossia i più o meno diciotto mesi di affinamento in tulipe di cemento dopo la vinificazione in acciaio. Non ho gli strumenti cognitivi per dire se sia davvero così, ma io trovo che il cemento faccia gran bene alla corvina. A questa, certamente. Ne deriva uno dei più buoni Valpolicella di sempre.

Valpolicella 2020 Corte Scaletta
(96/100)

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