Perché, perché, perché non bere questi vini dolci?

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Certe bottiglie le acquisto così, per impulso. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui ho comprato on line una bottiglietta da mezzo litro di un vino rosso dolce della denominazione, a me sconosciuta, di Jumilla, nel sud est della Spagna, che afferisce a un popoloso comune di 25 mila abitanti nella comunità autonoma di Murcia. Il vino è l’Olivares Dulce del 2017 delle Bodegas Olivares, è fatto con l’uva da raccolta molto tardiva del monastrell, che equivale alla varietà francese del mourvèdre, ed è tra i più buoni vini dolci che io abbia bevuto.

È insieme dolcissimo di fichi e mosto cotto e carruba e miele di castagno e anche salatissimo e salmastro, e il frutto rotola nel palato sospinto da una vena marina che pare inarrestabile e da un che di timo, di lavanda, di Mediterraneo. Ha duecento grammi di zucchero per litro e quasi non li avverti, come in quei rari capolavori di pasticceria dov’è il sale a prevalere sullo zucchero. Ha sedici gradi di alcol, ma anche questi passano in secondo piano, di fronte alla rifrescante morbidezza del vino (e definire rinfrescante la morbidezza sembra una contraddizione, ma non lo è in questo caso). Costa on line, la bottiglia da mezzo litro, intorno ai venti euro, tra i meglio spesi che potrete, trattandosi di vini dolci.

Ora, io capisco che i vini dolci siano fuori moda. Ma mi domando come si faccia a non bere vini così. Perché, perché, perché?

Jumilla Dulce Monastrell Olivares 2017 Bodegas Olivares
(96/100)

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