Moulin-à-Vent, cent’anni di storia

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Il Moulin-à-Vent gode di un prestigio del tutto particolare per la sua caratteristica di essere al tempo stesso fortemente ancorato allo spirito del luogo, e quindi al gamay del Beaujolais, ma anche di avvicinarsi “pericolosamente” alla Borgogna. Qui i vini hanno una potenza e una tannicità che poche volte si riscontrano negli altri cru vicini, come ad esempio Fleurie o Morgon. Caratteristiche che li rendono particolarmente interessanti con il passare del tempo, e che li portano a migliorare molto nel giro di dieci anni e oltre, senza alcun timore reverenziale nei confronti dei più prestigiosi e costosi fratelli della Côte d’Or.

Non ho avuto la fortuna di provare bottiglie molto vecchie (se non un Morgon del 1961, eccezionale), ma posso confermare che esiste una forte vicinanza con i vini di Chambolle-Musigny o di Vosne; ovviamente, questo dipende dall’ambizione del produttore e dall’annata. Il cru nasce nel 1924 grazie ad un gruppetto di produttori visionari che volle definirne con precisione i contorni, riconosciuti dal tribunale di Mâcon. L’attribuzione dello statuto di aoc avviene poi nel 1936, tra le prime appellation in Francia. Oggi nella regione del Beaujolais si sta lavorando per la definizione di un corposo numero di 1er crus, processo che ormai dovrebbe essere nella sua fase finale.

Tra i cru del Beaujolais, Moulin-à-Vent è l’unico a non portare direttamente il nome del villaggio da cui proviene, trovandosi le vigne nei comuni di Chenas e Romanèche-Thorins. Come si può intuire, prende invece nome da un antico mulino a vento che domina il paesaggio da una collina. I suoli sono prevalentemente di granito decomposto, che permette alle radici di penetrare in profondità. Una parte non trascurabile è su terreni di rocce vulcaniche ricche di silicio. I produttori dichiarati sono 250 e coltivano 640 ettari, con una produzione media di 3,5 milioni di bottiglie.

Nel corso di Wine Paris 2024 è stata allestita una interessante degustazione allo scopo di festeggiare questi 100 anni di storia con alcuni vini emblematici del cru.

Château des Jacques, Moulin-à-Vent Clos des Thorins 2018
Si tratta di uno dei pochi veri chateaux della zona che siano dedicati alla produzione di vino. Nato nel XVIII secolo, si è sempre distino per lo stile nobile ed austero dei suoi vini, costruiti per durare nel tempo e diventare complessi e nobili. La proprietà è passata nel 1996 alla celebre maison Luis Jadot, più conosciuta per i suoi vini di Borgogna. Sono stati rinnovati i vigneti, ora condotti in agricoltura biologica, e si sono approfondite le vinificazioni parcellari per singolo vigneto. Lo stile è più orientato verso la Borgogna che verso il Beaujolais. Il vigneto si trova nei pressi del celebre mulino a vento, su suoli di granito alterato, con strati di sabbia sottostanti. Le uve sono in genere diraspate per poi macerare tra tre e quattro settimane, e poi finire l’affinamento in barriques di legno francese. Si tratta probabilmente del terreno più celebre della regione, accostato spesso per caratteristiche a quelli di Volnay e Beaune. Si presenta con una presenza discreta del legno di affinamento, che conferisce una nota di cacao. Poi arrivano sentori di terra bagnata, grafite, frutta sotto spirito e delle note minerali. Raffinato, propone cenni di ciliegia e lamponi, per terminare con il pepe nero e le erbe di campo Tannino forse un pelo rustico per l’uso del legno; rimane vivo e con un frutto maturo. (90/100)

Château des Jacques, Moulin-à-Vent Clos de Rochegrès 2018
Questa cantina ha la fortuna di possedere alcuni dei migliori vigneti della denominazione e per questo riesce a proporre una collezione di terroir davvero invidiabile, cosa abbastanza unica tra i produttori del Beaujolais. Qui il suolo è composto di granito rosa, attraversato di filoni di quarzo, e si trova a 360 metri, nella parte più alta della denominazione. Le vigne hanno un minimo di quarantacinque anni. Il suolo è molto povero, la roccia è grigia, da cui il nome. La zona è fresca e molto ventosa, per dei vini di maturazione tardiva. La vinificazione è uguale a quella del vino precedente. La presenza del legno è molto meno marcata, al naso non si percepisce. Domina una forte impressione minerale, che si accompagna a quella di liquirizia. Il tostato e il caffè arrivano quando si assaggia il vino, ma il legno resta appena accennato ed è di grande qualità. La nota minerale diventa ferro e sangue, per finire con aromi di amaro alle erbe e frutta. Molto buona la lunghezza. (91/100)

Château des Jacques, Moulin-à-Vent Le Moulin-à-Vent 2018
Chiude la trilogia aziendale questo vino emblematico, sia per il nome che per quello che rappresenta. Sono le vigne più vecchie, oltre cento anni di età, e in un certo senso sono la sintesi dei vini precedenti. Le vigne sono piantate all’ombra del mulino e guardano verso est. Il suolo è più generoso e ricco di quarzo. Anche qui la vinificazione è come gli altri due. Il vino trasmette un senso di completezza e di tranquillità. Ci si trova di fronte a un vino più etereo e leggero, forse in questo più tipico degli altri due. Al naso dominano le spezie e le erbe aromatiche, mentre il palato è scandito da una struttura tannica più solida. Un vino compatto e tutto di un blocco, che sembra avere più bisogno di altri di tempo. Oggi non è al massimo della sua espressione, ma sembra avere una grande prospettiva di fronte. (93/100)

Château du Moulin-À-Vent, Moulin-à-Vent Le Moulin-à-Vent 2018
Fondato nel 1732, questo château ha cambiato nome da Château des Thorins nel 1936, approfittando della nascita della aoc. All’interno della proprietà si trova una importante cappella, uno dei luoghi più sacri per gli abitanti del luogo nel corso dei vari secoli. Oggi è una proprietà famigliare di 30 ettari sparsa su ventitrè vigne diverse. Ogni anno una parte della produzione è conservata nelle cantine per testimoniare l’evoluzione del vino nel tempo. Una vigna di circa mezzo ettaro fu ribattezzata “Clos de Londres” per il fatto di essersi fatta valere con una medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Londra del 1862. I grappoli sono diraspati per il 50%. Il vino sembra esprimere con più chiarezza l’identità del cru, grazie anche a un approccio meno interventista sul piano della vinificazione (leggi, un uso meno marcato del legno). Ci accolgono grandi profumi di fiori e ciliegia matura, una piccola evoluzione che ci ricorda la purea di frutta. Esemplare il palato, ancora una volta dominato dai fiori e con un tannino di grande qualità pur se ben presente. Finale di liquirizia, spezie e ancora fiori in bouquet. Un vino che ha margini di evoluzione, ma che già oggi è godibilissimo. (94/100)

Domaine Labruyère, Moulin-à-Vent Le Moulin-à-Vent 2018
La famiglia Labruyère custodisce questa proprietà da sette generazioni ed è una vera e propria pietra miliare per l’aoc. Dal 2020 tutte le proprietà sono state convertite al biologico. Per il resto si vendemmia classicamente tutto a mano, con una selezione severa dei grappoli e una vinificazione per singolo vigneto. Questa vigna di poco meno di un ettaro è un Clos situato nelle immediate vicinanze del mulino che dà nome all’appellation. I suoli si caratterizzano per la presenza di graniti molto duri e aridi. Vinficazione di uve totalmente diraspate, in botti di legno francese per diciassette e poi in cemento per altre tre mesi. L’idea è di arrivare a un vino dal grande potenziale di vita. Rispetto al precedente torna l’impressione di un vino più connesso con i canoni enologici più moderni. Al naso grafite, arancio e frutta matura. In bocca è massiccio, di taglia più larga e meno fine. Si avvicina ad un Borgogna di stile molto attuale. Sarà da attendere con pazienza, sperando che riesca a fondere totalmente le sue parti più spigolose. (87/100)