L’antica irresistibile grazia dei Palhete portoghesi

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“Non chiamatelo rosé” titolava l’editoriale della sommelier Pascaline Lepeltier sul numero di marzo della Revue du Vin de France. Parlava del Palhete, un vino arcaico portoghese dal colore più o meno saturo della ciliegia, forse disceso da antiche pratiche monastiche, frutto della lavorazione congiunta di uve rosse e bianche, che talora sono anche complantate, assieme, in vigneto. Un vino che ha struttura e anche freschezza acidula, e dunque può prestarsi all’affinamento. In Portogallo, la patria d’origine del Palhete, non viene considerato un vino rosa, ma fa categoria a sé, talora etichettato come rosso.

Di Palhete ne conosco due. Per me, sostenitore della possibilità di usare le uve bianche in assemblaggio con le rosse (in Francia si usa per i rosé provenzali e anche per i rossi, magnifici, della Côte-Rôtie, e ce n’era tradizione anche in Italia, per esempio nel Chianti o nel “mio” Bardolino, salvo eliminare le bianche nel 2001 per ricercare una struttura modaiola), sono una conferma e una rivelazione, e poco mi interessa se siano rosa o rossi: quel che conta è che sono inusuali, sfaccettati e fascinosi.

Phaunus Palhete 2022 Aphros Wine. Vasco Croft è un pioniere della biodinamica portoghese. Questo è il suo Palhete, vinificato in anfora con l’uva bianca della varietà loureiro e quella rossa della varietà vinhão. Nel 2022 ne sono state prodotte 2.500 bottiglie (il vino sta per tre mesi sui lieviti). Se cercate un vino che sappia sradicarvi dalle convenzioni, vi consiglio di procuravene almeno una (on line si può trovare intorno ai 27 euro, ho già provveduto all’acquisto). Il colore è cerasuolo chiaro, screziato con venature granata. In bocca: fragolina, marasca, albicocche acerbe, kumquat, pesca bianca, erbette aromatiche, pepe bianco, fiorellini di prato e potrei continuare ancora a citare descrittori, perché è molto complesso, cangiante, caleidoscopico, eppure mai prevaricante. Ma più ancora della complessità, è avvincente il suo lato asprigno e la sua beva succosissima, irresistibile e lunghissima.  E ha solo undici gradi di alcol. Ripeto: undici. (94/100)

Vino Rosso Nina Casa de Mouraz António Lopes Ribeiro. In etichetta non è riportata l’annata, come spesso accade per i “vini” senza menzione geografica, e nemmeno le categoria del Palhete, ma di fatto concettualmente vi rientra, perché le uve, rosse e bianche appartenenti a una ventina di varietà, vengono da vecchie vigne complantate tra loro, insieme con gli olivi e gli alberi da frutto, su pendii di granito nella regione del Dão, dove ha proprietà la Casa de Mouraz di António Lopes Ribeiro. Il vino, che appartiene al mondo “naturale”, ha una tonalità rosso mogano (o magari cerasuolo scuro, se preferite) ed è classificato, appunto, come “rosso”. Si percepiscono l’amarena, l’incenso, il profumo delle foglie di assenzio (ma non il loro tono amaricante) e dell’alloro secco, le felci di sottobosco. Vino austero, a dodici gradi di alcol. Lo si può rintracciare intorno ai 22 euro a bottiglia; credo che le bottiglie prodotte siano poco più di un migliaio. (90/100)