La cassa dei lieux-dits di Selosse

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Classicamente lo Champagne è un prodotto di assemblaggio. L’arte suprema di un cantiniere della regione è sempre stata quella di saper comporre il vino partendo dalle molte variabili a disposizione. Le uve sono principalmente tre, chardonnay, più pinot meunier e pinot noir. I vini derivano da una vasta zona geografica all’interno della quale le caratteristiche possono essere molto diverse tra di loro. Numericamente infine, il vino più venduto, il cosiddetto BSA, brut sans année, è il risultato della composizione di più annate, messe assieme con l’idea di rispettare lo stile identitario di quella specifica cantina.

L’emergere di una nuova generazione di vigneron ha fatto nascere nuove tendenze all’interno di una regione a lungo sonnacchiosa. Non sempre a dire il vero si tratta di tendenze condivisibili, ma questo è. La cosa più evidente è l’aumento esponenziale dei vini millesimati, un po’ per l’andamento più regolare delle ultime annate, ma in gran parte per ragioni commerciali e di marketing (si suppone, almeno sulla carta, che il millesimato sia sempre il vino migliore). Col risultato che i listini si sono spostati pericolosamente verso l’alto, complice anche la crescente domanda mondiale. Tendenza che – fate attenzione – è ben lungi dall’essersi fermata ai livelli attuali.

Tra i vignaioli che hanno dato una scossa alla regione, Anselme Selosse – succeduto al padre Jacques Selosse – è considerato unanimemente come colui che ha iniziato una riflessione globale sul futuro dello Champagne, facendolo diventare un prodotto molto più identitario e personale. All’opposto delle grandi maison da milioni di bottiglie, Anselme ha voluto realizzare dei vini molto caratterizzati e frutto di scelte spesso controcorrente. Che poi i suoi Champagne non siano amati da tutti non ha importanza, lo stile è quello che conta e in questo caso si tratta di un progetto portato avanti con rara coerenza.

Oltre ai vini da sempre presenti nella sua gamma, Selosse ha da alcuni anni pensato di mettere sul mercato una cassa, che lui chiama cageotte, contenente sei Champagne proveniente da singoli vigneti, i famosi lieux-dits. L’approccio è quello borgognone (regione cui Anselme da sempre si ispira): si vuole fotografare un determinato luogo mettendone in luce gli aspetti più peculiari. Fatto sta che la cassa è diventata un collector’s item, un oggetto da collezione ricercato e costoso che spesso è vittima di speculazione.

Con il mio fedele gruppo di assaggiatori abbiamo acquistato una di queste casse, l’abbiamo tenuta qualche anno in cantina (suggerimento che do a tutti) e poi l’abbiamo bevuta. Queste le nostre impressioni. Senza anticipare i commenti, posso affermare che, anche se la parte aromatica non è secondaria, si tratta però di vini che si rivelano pienamente al palato, vanno insomma bevuti e abbinati a grandi piatti. La loro struttura consente di metterli a fianco di qualsiasi cibo, anche cacciagione se piace. Tenete conto che la maggior parte dei suoi vini resta almeno sei-otto anni sui lieviti, almeno credo.

Champagne Grand Cru Blanc de Blancs Extra-Brut Les Mesnil sur Oger Les Carelles Jacques Selosse. In genere è una mini-solera di tre annate. Naso di lievito, brioche, pesca matura, l’impressione è di dolcezza del frutto. Poi andiamo verso il mare e l’ostrica. La bolla è fine, il palato non solpisce per la potenza, ma cresce coi minuti e si espande. Resta il fatto che questa delicatezza lo penalizza nel confronto con gli altri vini della batteria, che hanno spesso più personalità e presenza. In realtà se lo si riesce a cogliere dimostra una lunghezza fuori dal comune. Spezie e zenzero nel finale, assieme alla nota di burro dello chardonnay. Averlo sentito per primo è stata una scelta involontaria ma azzeccata, è il più fine della serie ed ha una beva travolgente che porta a sottovalutarne gli aspetti più nascosti. (91/100)

Champagne Grand Cru Blanc de Blancs Extra-Brut Cramant Chemin de Châlons Jacques Selosse. Ancora un naso con un frutto dolce, nello stile di Anselme. Sembra di trovarsi di fronte a un pinot noir, quando in realtà è tutto chardonnay. Frutta secca, funghi, sottobosco, siamo immersi in sensazioni autunnali. Poi arriva la nota minerale più tipica del suolo di Cramant. Al palato è balsamico, grasso, fine e lungo. Parte più contenuto e poi si allarga per diventare infinito. Della serie è il più fruttato e rotondo. Ha una fragolina di bosco davvero piacevole e le note minerali sono più sfumate e lontane. La bolla dopo poco scompare e resta il vino, termina sulla pietra focaia.  (93/100)

Champagne Grand Cru Blanc de Noirs Extra-Brut La Côte Faraon Jacques Selosse. Sono vigne di pinot nero provenienti dal vigneto più a sud tra quelli di proprietà. Colore intenso, come ci si aspetta. Qui andiamo ad esplorare i territori dell’ossidazione anche se il primo impatto è quello di un aroma tagliente e quasi violento. Il frutto è maturo, appoggiato, quasi al limite della sovramaturazione. Come detto sopra, questa impressione di acidità rabbiosa lo riscatta e lo salva dal rischio di sembrare decadente e cotto.  Siamo al limite dell’aggressivo e francamente la cosa non mi dispiace per nulla. Si sente la susina gialla francese, poi arrivano note forti di clorofilla, balsamo tigre, senzero. Si chiude tornando sulle note più fruttate e rotonde di crema pasticcera, quasi in un viaggio sensuale che si sviluppa circolarmente. La morbidezza prende il posto dell’acidità e rilancia il vino. Solido e potente, ricorda un grande Borgogna. Edonista e personale, in certi momenti arriva ad evocare un fino di Jerez. (98/100)

Champagne Grand Cru Extra Brut Blanc de Noirs Sous le Mont Jacques Selosse. Assemblaggio di piccole vigne da Mareuil-sur-Ay, villaggio reputato per avere alcuni dei migliori pinot noir di tutta la Champagne. Restiamo nel campo dei vini maturi, qui sembra ancora più approfondito l’aspetto fruttato, fino ad avvicinarsi a un vino barocco. Questa nota dolce si avvicina al caramello, poi arrivano cose più insolite come la carne e i sentori da birra acida tipo Cantillon. Molto evoluto, ancora più vicino del precedente all’ossidazione, non è il più adatto agli amanti degli champagne più delicati e da aperitivo. Anche qui le note acide risolvono la questione, riportando il tutto in equilibrio. La materia è evoluta, probabilmente anche per la qualità del lavoro in cantina. Sappiamo infatti che vengono usate barrique e che poi i tempi di maturazione sui lieviti sono molto lunghi, approfondendo quindi le note di frutta secca e crosta di pane, e aggiungendo note evolute ed avvolgenti. Finale di fiori secchi che stranamente si fa più delicato del previsto, forse anche grazie a una acidità indomita. In questi aspetti è meno reattivo degli altri, nel confronto si chiude quasi in sè stesso. Temina su cenni di olive verdi, more, mandorla amara e pietra focaia. (91/100)

Champagne Grand Cru Extra-Brut Blanc de Noirs Le Bout du Clos Jacques Selosse. Finiamo il trittico del pinot noir con questa vigna di Ambonnay, altro village dove il vitigno si esprime ad altissimi livelli. Il colore è evoluto. Si evidenziano gli aromi più viscerali del pinot nero, ricorda appunto un rosso di Borgogna con qualche anno di vita. La parte più terrosa ricorda le radici, la torba, poi arrivano l’anice, le spezie, la menta e una strana nota di frutto della passione. Si sfiora il medicinale. È forse quello con la bolla meno presente, l’effervescenza diventa più una nota minerale che un aspetto tattile. Anche qui l’acidità non scherza, è tra le più pungenti, mentre il finale è tannico. Tra i più godibili pur essendo atipico e quasi duro a tratti. Finale di mandorla amara e fortemente salino, con una nota di calore e l’acidità a sottolineare il tutto. (95/100)

Champagne Grand Cru Extra-Brut Blanc de Blancs Les Chantereines Jacques Selosse. Piccola produzione di seicento bottiglie da un vigneto di Avize, non lontano dalla cantina. Torniamo alla fine allo chardonnay. Dorato intenso, ha una ossidazione tra le più spinte. Questa volta a riportare equilibrio è una grande mineralità, accompagnata da splendide sensazioni di fiori, camomilla in particolare, tè verde e spezie. Nervoso e sottile, è tra i più persistenti ed ha la bolla più evidente, tanto da sembrare ancora giovane. Sensazione tannica e struttura a più dimensioni. Qui il finale è tutto sulla sapidità, mare, iodio e sale prendono possesso del palato e prolungano a lungo le sensazioni. (94/100)