Ziru e la luce (e il sale) della Sardegna

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Se mi avessero fatto assaggiare questo vino senza saperne minimamente l’origine avrei pensato a un posto non lontano dal mare, perché il mare c’è, lo avverti, con quella salsedine che sembra aver intriso il sorso, ma c’è anche una tensione che è più da collina che non da riviera. E avrei pensato a un vino bianco che viene dal Mediterraneo, per quella sua florealità e quegli agrumi.

Ecco, questo è un vino che descrive la propria origine, che è profondamente territoriale, e il suo territorio è la Sardegna, ed è quella Sardegna che sta nell’entroterra alle spalle di Cagliari. L’entroterra di Serdiana, nel basso Campidano.

Il vino si chiama Ziru e porta la firma di Antonella Corda. Lei ha rinnovato la tradizione di famiglia il quel tratto di vigne (il nonno materno è Antonio Argiolas). Lo ziru è invece la giara che si usava nella campagne per conservare l’olio e il nome dice che questo vino nasce e si affina nella terracotta, in quei contenitori che si usano adesso definire tutti anfore. Il che non faccia pensare tuttavia a quei bianchi pesantemente macerativi e ossidativi e aranciati che si trovano ormai un po’ ovunque: qui è tutto sale e dinamicità e florealità e anche il colore è un giallo brillante e luminoso venato di verde, pur con la lievissima, proprio lievissima velatura determinata dal fatto che, saggiamente, non si fa filtrazione (e mi viene da ripensare per l’ennesima volta che i vini più buoni sono proprio quelli che hanno luminosità).

Da che uve viene? Da “vitigni autoctoni” dice la scheda tecnica, e credo sia perché, trattandosi d’un igt dell’Isola dei Nuraghi, non si può specificare, per disciplinare, il nome delle varietà locali, tutelate invece dalle denominazioni. A berlo direi che è essenzialmente vermentino. Sbaglio?

Un’ultima cosa: è giovanissimo e chiede a gran voce ulteriore paziente attesa nel vetro, e comunque è già buonissimo oggi.

Isola dei Nuraghi Ziru 2017 Antonella Corda
(88/100)

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