Il Volnay di Fanny Sabre e quell’irresistibile sorso

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In una quindicina di anni, Fanny Sabre si è ritagliata un posto di primo piano nel mondo del “naturale” borgognone. Studiava ancora – e non enologia – quando, nel 2005, si ritrovò a dover prendere in mano l’azienda di famiglia, messa su a Pommard negli anni Ottanta dal padre, prematuramente scomparso. Affiancata per un triennio dal vigneron Philippe Pacalet, amico di suo padre e nome importante dell’universo borgognone, Fanny si è subito orientata verso pratiche più rispettose dei suoli e dell’ambiente e oggi fa vini che vengono apprezzati per il loro stile estremamente franco, che favorisce la bevibilità e la leggerezza del sorso.

In effetti, quand’ho avuto nel calice il suo Volnay del 2017, la prima impressione è stata quella di una struttura sottile, quasi impalpabile e apparentemente esile (pure il colore era trasparente, perfino tendente a più verso il granato che alla poropora), anche se sotto avvertivo un tannino ben calibrato, perfettamente integrato nel vino. Poi, man mano, si sono aperti profumi di fruttino e di fiori macerati e di terra, fintamente sottili, e invece tratteggiati con mano sicura, con la beva che si faceva man mano addirittura più amicale e perfetta e fresca. Una beva irresistibilmente seria, seriamente irresistibile. Insomma, eravamo in tre e la bottiglia è finita senza che nemmeno ce ne accorgessimo, e questo è un segnale incontrovertibile di un vino ben fatto.

Leggo che per questo 2017 la produttrice ha in mente di uscire con delle jeroboam. Il che mi inquieta, perché ribadisco che è difficile resistervi.

Volnay 2017 Fanny Sabre
(90/100)

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