Il vino trentino e la ricerca delle identità smarrite

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Ho letto un documento di quattro pagine della sezione trentina di Assoenologi. S’intitola: “Situazione e prospettive della vitivinicoltura trentina”. Cerco di riassumerne i contenuti e poi dico la mia.

L’analisi di Assoenologi del Trentino si apre affermando che “se fino agli anni ’90 era stata perseguita una politica della qualità, della tutela dell’origine e della valorizzazione del territorio su base interprofessionale, questi valori – pur formalmente mantenuti – nella realtà attuale risultano scavalcati dall’esigenza di assicurare redditività al sistema”, tant’è che lo sviluppo vitivinicolo sembra essere dettato “principalmente dalle esigenze di alcune grandi strutture produttive, passando da una politica di territorio ad una politica di brand che espone il modello socio-economico a diversi rischi”.

Altra sottolineatura di Assoenologi è questa: “Alla luce della realtà e per il bene del Trentino va naturalmente perseguita una collaborazione tra territorio e brand, con lo scopo comune di riportare il Trentino ad essere competitivo – con questo nome – sul mercato nazionale e internazionale. Per contro, manca ancora la presa di coscienza che di fatto coesistono due viticolture: una industriale, di fondovalle, prevalentemente a Pinot grigio (ma con importanti isole di alta qualità) e una territoriale, di collina (costi elevati) che abbisogna di riconoscibilità particolare (tutele legislative e valorizzazioni per tipologia)”.

Nei fatti, tuttavia, adesso in Trentino si è di fronte a quella che Assoenologi definisce – e condivido – una “perdita di identità territoriale”.

La soluzione? Secondo Assoenologi, “valutare l’opportunità di diversificare le attività industriali (vino commodity) da quelle territoriali (vino di sicura origine-identità) trasferendo questo modello anche in Consorzio Vini”, il quale “dovrà trovare il suo nuovo equilibrio interprofessionale con una parità equamente divisa fra Cantine di primo grado e Vignaioli da un lato e Cantine industriali-commerciali dall’altro”. Il tutto accompagnato da “un poderoso supporto promozionale indirizzato sia ai nostri mercati tradizionali, sia alla ricerca di nuove opportunità commerciali.

Che ne penso?

Penso che sia importante che gli enologi trentini prendano posizione.

Penso tuttavia che permanga anche in questo documento il “peccato d’origine” che rende difficoltosa la soluzione ai problemi attuali del vino trentino.

Questo “peccato” sta nel confondere l’obiettivo con gli strumenti.

L’equilibrio nella rappresentatività e la richiesta di denaro per la promozione non sono obiettivi. Questi sono semmai strumenti, da utilizzarsi a posteriori. Prima serve infatti tornare sul problema dei problemi, ossia la “perdita di identità territoriale”, concentrarsi lì e definire quali siano le diverse identità del vino trentino e come valorizzarle separatamente.

La benedetta “identità territoriale” non è connessa alla dimensione produttiva o ad altri dettagli del ciclo produttivo. Essere grandi, fare vino in pianura e avere bassi costi di produzione sono solo tre dettagli del processo produttivo. Essere piccoli, fare vino in collina e avere alti costi di produzione sono solo tre dettagli del processo produttivo. Non costituiscono di per sé elementi di “identità territoriale”.

Insisto da sempre nel dire che è fondamentale che il mondo del vino articoli al proprio interno forti elementi identitari, perché è quella che chiamo “identità percepita” ad essere vincente. Ma, come appare chiarissimo nel caso del Trentino, non vi è ormai più e non vi potrà mai più essere un’unica “identità” vinicola. Tanto vale allora riflettere sulle diverse “identità territoriali” interne alla filiera trentina e delineare le strade che portino a farle percepire, e dunque a valorizzarle, distintamente.

A quel punto, sarà naturale e conseguente anche definire i diversi ambiti di rappresentanza, valorizzando le anime produttive che meglio – appunto – “rappresentano” ciascuna singola identità.

Poi, certo, serviranno anche i soldi per la promozione di tali diverse identità. Con scelte di marketing e di posizionamento e di canali e di mercati e di segmenti che saranno, inevitabilmente, diversi. Ma complementari.


3 comments

  1. Angelo Rossi

    Grazie, caro Peretti, per aver postato il tema che anche a me sta particolarmente a cuore e ancor più, grazie per le osservazioni. Sono certo che gli enologi trentini ne faranno tesoro, allargando l’orizzonte, nel perseguire scopi e nell’utilizzare strumenti. Se son rose, fioriranno … come si dice!
    Un abbraccio, Angelo Rossi

  2. Cosimo Piovasco di Rondò

    Non credo, Angelo, che la questione della rappresentanza e dei sodi da impiegare in promozione, siano in cima alla scala delle priorità degli enologi trentini. Certo, si rendono conto che per raggiungere gli obiettivi, hanno bisogno anche di strumenti – questione consorzio e revisione radicale del/i disciplinare di produzione-. Sono convinto che non stiano confondendo obiettivi con strumenti. Ma mettono sul tavolo anche la questione strumentale. Inizia qui un ragionamento che per forza dovrà toccare anche il tema dell’identità e del territorio. Intanto, però, il confronto prende inizio in un contesto dominato da fortissime tensioni e conflittualità, ma prende inzio. E il fatto che l’incipit arrivi dagli enologi a me pare un non solo importante. Ma anche lodevole.

  3. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Non è questione di priorità, Cosimo, è questione di metodo. Gli strumenti vengono dopo gli obiettivi e gli obiettivi vengono dopo l’identificazione degli elementi identitari. Prima l’identità (o le identità). Trovata quella (quelle) si definiscono gli obiettivi. Definiti quelli di individuano gli strumenti per realizzarli. Che sia un incipit lodevole non ne ho dubbio.

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