Il vino, il tempo e la verità di Patricia

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Tra i molti argomenti di discussione a proposito del vino e dei suoi mercati, uno di quelli che mi hanno epidermicamente infastidito di più negli ultimi anni è stato quello relativo ai millenials. Chiamansi con questo nome anglofono i nati tra il 1981 e il 1996, ovvero coloro che sono entrati nell’età ammessa per il consumo di alcol nel corso degli anni Duemila, ora sostituiti, nell’interesse dei più o meno ferrati strateghi del marketing vinoso, dagli appartenenti alla successiva generazione Z.

Ora, io capisco che chi fa marketing debba chiedersi quali siano i target più adatti ad acquistare un certo prodotto, ma francamente io non ho mai creduto che ci sia un’età “giusta” per bere bene. Mi ha fatto piacere vedere che nutre la medesima convinzione Patricia Guy, giornalista americana che abita da molti anni a Verona. L’ha intervistata Alfonso Cevola e consiglio vivamente di leggere tutta l’intervista (in inglese, lei del resto l’italiano lo mastica poco) sul blog On the Wine Trail in Italy, perché è ricca di quella saggia e competente ironia che è tipica di Patricia.

“Non so rispondere alla domanda riguardo a che cosa una persona debba fare a una certa età. Il tempo è fluido. Ciascuno viene disegnato dalla propria esistenza”. È quanto ha argomentato quando le è stato chiesto, appunto, quale vino, a suo parere, potesse piacere ai giovani. Sottoscrivo integralmente le sue parole.